Non
so a cosa pensasse mentre lentamente saliva le scale. Come tutte le
mattine indossava la solita maglia di cachemire con sotto la camicia
acquistate sicuramente ai saldi di qualche grande magazzino. Capelli
bianchi e riportati in qua e là a tentare di coprire i vuoti
lasciati dal passare del tempo, tra i cinquantacinque e i sessanta,
il professor Carminati teneva sotto braccio la sua vecchia cartellina
di cuoio con dentro le verifiche appena corrette. Cose semplici,
domande del tipo: what is your name? How old are you? What are you
doing? The teacher’s car is red, eccetera. Una vera strage,
specialmente sul gerundio progressivo e il genitivo sassone. Durante
la correzione la punta rossa della stilografica era passata sopra le
calligrafie ancora deformate dei suoi alunni, con l’impietoso
menefreghismo della lama di una ghigliottina. Nel silenzio ovattato
dell’istituto appoggiò la cartella sul davanzale della finestra
del primo piano, l’aprì e si accese una sigaretta. Mentre un caldo
sole primaverile gli invadeva le membra, il suo sguardo andò a
posarsi sulla sua nuova berlina accuratamente parcheggiata fuori dal
cancello della scuola. Notò con piacere che baciata dal sole di
maggio, il rosso metallizzato della carrozzeria risplendeva come una
palla di fuoco. Il sogno di tutta una vita. Lui che a certe forme ci
aveva sempre tenuto, tra una boccata di fumo e l’altra, intanto che
aspettava l’inizio della seconda ora, fece scivolare la mano sotto
la maglia di cachemire e si allentò il nodo della cravatta. «Buon
giorno professor Carminati.» sentì quasi rimbombare una voce alle
sue spalle. Voltando appena la testa accennò un sorriso e dopo
averla salutata con un leggero movimento del capo, vide sfilar via la
supplente della professoressa d’italiano. Era una ragazza giovane,
paffutella, non tanto alta, coi capelli neri riportati all’indietro
in una lunga coda di cavallo e una vistosa collana di pietre verdi
che lasca le ballonzolava sul petto. Non aveva alcun tipo di grazia,
secondo il professore, proprio come quei sandali e quel lungo vestito
dal sapore vagamente orientale che aveva indosso. Vedendola
zampettare in tutta fretta verso le aule del secondo piano con una
risma di fogli protocolli stretti al grembo, Carminati sentì un
senso di disgusto invadergli le membra. I suoi sensi percepirono
quella figura molto simile a una madre che allatta un bambino in
pubblico, come un qualcosa di sporco. Aspirando con rabbia la
sigaretta tornò così a guardare la sua palla di fuoco e subito
ritrovò la calma. Dopo anni di sacrifici e risparmi, finalmente era
riuscito a comprarsela pagandola tutto d'un botto. Tra qualche mese,
quando poi avrebbe sintetizzato con un numero scritto sopra un foglio
da appendere in bacheca tutte le frustrazioni, lui e sua moglie
avrebbero preso e sarebbero sfrecciati ad abitare per qualche tempo
nella loro villetta in montagna. E chi si è visto si è visto. Lui
sì che era una persona tutta d’un pezzo, mica come quella precaria
col tonacone che gli era appena passata davanti! A quella in una
concessionaria non le avrebbero neanche fatto varcare la soglia.
Conciata a quel modo era già tanto se aveva un tetto sopra la testa
e una bicicletta per spostarsi e andare a lavoro. Dal suo collega di
matematica infatti era venuto a sapere che, assieme ad un’altra
ragazza, divideva l’affitto di un bilocale che avrebbero dovuto
lasciar libero con l’approssimarsi della stagione estiva. Ad andar
bene era anche lesbica. Una cosa vergognosa, continuava a rimuginare
il profesor Carminati. Io alla sua età mica avevo i grilli per la
testa, oltre ad avere una moglie e due figli, mi ero già comprato la
casa e la mia prima automobile. Tutto a un tratto, facendolo quasi
sobbalzare, il suono metallico della campanella strappò la prima ora
e un monellesco brusio di voci invase subito il corridoio. Come un
automa, con la stessa lena di un operaio svogliato che si appresta a
stringere per la milionesima volta il solito bullone, il professore
gettò via il mozzicone della sigaretta, chiuse la finestra e con la
sua cartella di cuoio sotto braccio s’incamminò verso la II^ C. Al
di là della porta ancora chiusa, sovrastata dagli schiamazzi dei
ragazzi, a stento riconobbe la voce del suo collega di tecnica che
stava elargendo i compiti per casa alla classe. Dopo qualche istante
la porta si aprì e Carminati si trovò davanti agli occhi la
mastodontica stazza del professor Morosini. Alto quasi due metri, con
la barba incolta e i capelli lunghi fin sotto le scapole, questi lo
salutò appena con un cenno del capo e poi corse subito via. Un altro
di quegli scansa fatiche pieni di grilli per la testa, pensò il
professore d'inglese mentre con cipiglio austero guadagnava il suo
trono dietro la cattedra. La classe intanto si era zittita di colpo.
Come un sergente che passa in rassegna un plotone di piccoli soldati,
Carminati squadrò la sua truppa di sentinelle tutte impettite e
sugli attenti. «Sedetevi.» disse aprendo la sua cartellina di
cuoio. Accompagnati dal suono stridulo dei gambi delle sedie sul
pavimento, i militari si sistemarono subito al loro posto di
combattimento. I più bravi, quelli delle prime file, avevano già
fatto il cambio dell’arma e tenevano aperto sul banchino il libro e
il quaderno d’inglese. Questi gli erano anche simpatici,
specialmente dopo aver visto i loro genitori venirli a prendere a
scuola col SUV o la berlina di grossa cilindrata. Loro, al contrario
di quelli delle ultime file che erano per lo più figli d'immigrati e
d'operai, sicuramente avrebbero avuto un futuro brillante. «Vi ho
riportato le verifiche.» ghignò l’insegnante lanciando lo sguardo
sarcastico in piccionaia . «E come sempre tranne i soliti quattro o
cinque, tutti gli altri hanno preso la solita insufficienza.» Con
fare meccanico e rilassato Carminati prese a chiamare gli allievi,
uno per uno. Approfittando del momento d’inerzia dell’insegnante,
dalle ultime file iniziò a sollevarsi un leggero brusio. Un
gruppetto di ragazzi quel pomeriggio era stato invitato a casa di
Revi per il suo compleanno. Niente bigliettini d’invito stampati al
computer, niente stanze prese in affitto, niente palloncini o clown
per intrattenere il piccolo pubblico. La festa, spiegava Revi con una
certa fierezza, sarebbe iniziata alle tre a casa sua, ci sarebbe
stato il dolce fatto da sua madre e la bibita del supermercato. Poi
tutti a giocare a pallone nei campi.
«Io
sono ragazza, non giocare a pallone.» sussurrò la piccola Matoub
nel suo italiano stentato.
«Allora
la mettiamo in porta.» disse Lisimanni, il suo compagno di banco,
sporgendosi leggermente col busto verso la nuca che aveva davanti.
«Va
bene.» confermò il festeggiato. «Però io voglio essere in squadra
con Martins, lui è brasiliano. Cinque titoli mondiali...»
«SILENZIO!»
tuonò d’un tratto il professor Carminati battendo il pugno sopra
la cattedra. «Tu Matoub cosa hai da dire che non riesci neanche a
parlare l’italiano. tornatene al tuo paese!»
Il
gelo scese sopra la classe. La piccola Matoub, ormai abituata a certe
scenette, si alzò in piedi e con uno strano sorriso dipinto sul
volto chiese scusa a tutta la classe. Il professor Carminati,
sentendosi offeso da questo atteggiamento a dir suo irriverente, andò
su tutte le furie.
«Come
ti permetti di sorridere!?» iniziò a sbraitare alzandosi dalla
cattedra. Poi in un silenzio tombale, scese dal piccolo pulpito e a
grandi falcate iniziò a percorrere il corridoio tra le due file di
banchi.
«Lei
è una sporca testa di cazzo.» sentì dire ad un certo punto.
Carminati si irrigidì di colpo, come un manganello. Col volto
contratto in una maschera fatta di odio e terrore riconobbe d’acchito
la vocina che gli era appena sibilata alle spalle. Subito, come un
computer impazzito, allora le fece la radiografia: Ghirlandi,
ripetente, padre disoccupato e iscritto al sindacato, madre casalinga
e lavoratrice ad ore. Macchina... macchina,
una vecchia vecchia FIAT Panda tenuta assieme col fil di ferro. Poi,
con la bocca contratta e dopo aver inspirato profondamente col naso,
gridò: « Ghirlandi, adesso io e te andiamo dal preside!» A sentir
quelle parole la ragazzina fece stridere i gambi metallici della
sedia sul pavimento e si alzò subito in piedi. Tesa, col capo chino
e lo sguardo basso, i lunghi capelli corvini le ricadevano davanti
coprendole il volto. Indossava una maglietta rosa con sopra disegnata
una scimmietta, un paio di pantaloni di jeans e a stento riusciva a
trattenere il tremore del corpo. Sotto gli sguardi attoniti dei suoi
compagni di classe, Carminati la prese malamente per mano e con passo
da marcia, la costrinse a seguirla fuori dalla porta, nel corridoio,
oltre l’androne delle scale e poi giù fino all’ufficio della
presidenza. La ragazzina, scortata dal nervoso ticchettio dei passi
che rimbombavano nel vuoto dell'istituto, però tutto sommato -a
parte l'imbarazzo iniziale- non aveva paura.
“Quando
vedi qualcosa d’ingiusto ribellati, sempre...” gli dicevano di
continuo i suoi genitori. “Al resto poi pensiamo noi grandi.”
E
con questa oscura certezza nel cuore, la piccola Ghirlandi alcuni
minuti dopo si trovò di fronte al preside, un ometto basso e magro,
col cranio raso e la mascella leggermente squadrata. Intanto che con
una strana e a lei sconosciuta voce melliflua il professor Carminati
illustrava al proprio superiore la propria versione dei fatti, la
ragazza, ancora col capo chino e i capelli sugli occhi, si guardava
intorno con aria smarrita. Forse, visto che sui libri di scuola certe
cose non le trovava mai scritte, proprio in quella circostanza capì
per la prima volta che cosa intendessero dire suo padre e sua madre.
Allora si fece forza e col suo sguardo di ragazzina iniziò a
sbirciare il volto austero del preside, il fare succube
dell’insegnante, i fogli perfettamente impilati sulla scrivania e
racchiusi dentro a tante cartelline di cartone colorate. Appese alle
pareti riconobbe le fotografie del Presidente della Repubblica e del
nuovo papa, quello eletto da poco e di cui non riusciva mai a
ricordarne il nome. La litania del professor Carminati continuava
quasi con cadenza liturgica e lei, ancora di sottecchi, andò con lo
sguardo oltre la finestra aperta dietro alle spalle del preside.
«Ghirlandi,
certe cose non si fanno!» tuonò il preside, appena il professore
ebbe
finito di parlare. «Verrai sospesa per tre giorni e quando rientri
mi porti questo firmato da tuo padre e tua madre. Ma che razza di
educazione ti han dato i tuoi genitori!?» Nel prendere il foglio che
il sig. preside le stava porgendo da dietro la scrivania, un dolce
odore di fiori le invase le narici. Alzando la testa, molto diversa
da quella con cui suo padre ogni mattina l'accompagnava a scuola,
Ghirlandi vide una macchina rossa simile a una palla di fuoco e poco
più il là, nel giardino dell’istituto, tra un altalena e una
giostra ormai in completa balia della ruggine, s’accorse che le
piante e l’erba finalmente eran fiorite. A Massarosa finalmente era
esplosa la primavera.
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