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Blog perverso e polimorfo, abitato da forme di vita aliene e virulente: siamo portatori insani del virus del pensiero diagonale.

domenica 24 marzo 2013

PRIMAVERA A MASSAROSA


Non so a cosa pensasse mentre lentamente saliva le scale. Come tutte le mattine indossava la solita maglia di cachemire con sotto la camicia acquistate sicuramente ai saldi di qualche grande magazzino. Capelli bianchi e riportati in qua e là a tentare di coprire i vuoti lasciati dal passare del tempo, tra i cinquantacinque e i sessanta, il professor Carminati teneva sotto braccio la sua vecchia cartellina di cuoio con dentro le verifiche appena corrette. Cose semplici, domande del tipo: what is your name? How old are you? What are you doing? The teacher’s car is red, eccetera. Una vera strage, specialmente sul gerundio progressivo e il genitivo sassone. Durante la correzione la punta rossa della stilografica era passata sopra le calligrafie ancora deformate dei suoi alunni, con l’impietoso menefreghismo della lama di una ghigliottina. Nel silenzio ovattato dell’istituto appoggiò la cartella sul davanzale della finestra del primo piano, l’aprì e si accese una sigaretta. Mentre un caldo sole primaverile gli invadeva le membra, il suo sguardo andò a posarsi sulla sua nuova berlina accuratamente parcheggiata fuori dal cancello della scuola. Notò con piacere che baciata dal sole di maggio, il rosso metallizzato della carrozzeria risplendeva come una palla di fuoco. Il sogno di tutta una vita. Lui che a certe forme ci aveva sempre tenuto, tra una boccata di fumo e l’altra, intanto che aspettava l’inizio della seconda ora, fece scivolare la mano sotto la maglia di cachemire e si allentò il nodo della cravatta. «Buon giorno professor Carminati.» sentì quasi rimbombare una voce alle sue spalle. Voltando appena la testa accennò un sorriso e dopo averla salutata con un leggero movimento del capo, vide sfilar via la supplente della professoressa d’italiano. Era una ragazza giovane, paffutella, non tanto alta, coi capelli neri riportati all’indietro in una lunga coda di cavallo e una vistosa collana di pietre verdi che lasca le ballonzolava sul petto. Non aveva alcun tipo di grazia, secondo il professore, proprio come quei sandali e quel lungo vestito dal sapore vagamente orientale che aveva indosso. Vedendola zampettare in tutta fretta verso le aule del secondo piano con una risma di fogli protocolli stretti al grembo, Carminati sentì un senso di disgusto invadergli le membra. I suoi sensi percepirono quella figura molto simile a una madre che allatta un bambino in pubblico, come un qualcosa di sporco. Aspirando con rabbia la sigaretta tornò così a guardare la sua palla di fuoco e subito ritrovò la calma. Dopo anni di sacrifici e risparmi, finalmente era riuscito a comprarsela pagandola tutto d'un botto. Tra qualche mese, quando poi avrebbe sintetizzato con un numero scritto sopra un foglio da appendere in bacheca tutte le frustrazioni, lui e sua moglie avrebbero preso e sarebbero sfrecciati ad abitare per qualche tempo nella loro villetta in montagna. E chi si è visto si è visto. Lui sì che era una persona tutta d’un pezzo, mica come quella precaria col tonacone che gli era appena passata davanti! A quella in una concessionaria non le avrebbero neanche fatto varcare la soglia. Conciata a quel modo era già tanto se aveva un tetto sopra la testa e una bicicletta per spostarsi e andare a lavoro. Dal suo collega di matematica infatti era venuto a sapere che, assieme ad un’altra ragazza, divideva l’affitto di un bilocale che avrebbero dovuto lasciar libero con l’approssimarsi della stagione estiva. Ad andar bene era anche lesbica. Una cosa vergognosa, continuava a rimuginare il profesor Carminati. Io alla sua età mica avevo i grilli per la testa, oltre ad avere una moglie e due figli, mi ero già comprato la casa e la mia prima automobile. Tutto a un tratto, facendolo quasi sobbalzare, il suono metallico della campanella strappò la prima ora e un monellesco brusio di voci invase subito il corridoio. Come un automa, con la stessa lena di un operaio svogliato che si appresta a stringere per la milionesima volta il solito bullone, il professore gettò via il mozzicone della sigaretta, chiuse la finestra e con la sua cartella di cuoio sotto braccio s’incamminò verso la II^ C. Al di là della porta ancora chiusa, sovrastata dagli schiamazzi dei ragazzi, a stento riconobbe la voce del suo collega di tecnica che stava elargendo i compiti per casa alla classe. Dopo qualche istante la porta si aprì e Carminati si trovò davanti agli occhi la mastodontica stazza del professor Morosini. Alto quasi due metri, con la barba incolta e i capelli lunghi fin sotto le scapole, questi lo salutò appena con un cenno del capo e poi corse subito via. Un altro di quegli scansa fatiche pieni di grilli per la testa, pensò il professore d'inglese mentre con cipiglio austero guadagnava il suo trono dietro la cattedra. La classe intanto si era zittita di colpo. Come un sergente che passa in rassegna un plotone di piccoli soldati, Carminati squadrò la sua truppa di sentinelle tutte impettite e sugli attenti. «Sedetevi.» disse aprendo la sua cartellina di cuoio. Accompagnati dal suono stridulo dei gambi delle sedie sul pavimento, i militari si sistemarono subito al loro posto di combattimento. I più bravi, quelli delle prime file, avevano già fatto il cambio dell’arma e tenevano aperto sul banchino il libro e il quaderno d’inglese. Questi gli erano anche simpatici, specialmente dopo aver visto i loro genitori venirli a prendere a scuola col SUV o la berlina di grossa cilindrata. Loro, al contrario di quelli delle ultime file che erano per lo più figli d'immigrati e d'operai, sicuramente avrebbero avuto un futuro brillante. «Vi ho riportato le verifiche.» ghignò l’insegnante lanciando lo sguardo sarcastico in piccionaia . «E come sempre tranne i soliti quattro o cinque, tutti gli altri hanno preso la solita insufficienza.» Con fare meccanico e rilassato Carminati prese a chiamare gli allievi, uno per uno. Approfittando del momento d’inerzia dell’insegnante, dalle ultime file iniziò a sollevarsi un leggero brusio. Un gruppetto di ragazzi quel pomeriggio era stato invitato a casa di Revi per il suo compleanno. Niente bigliettini d’invito stampati al computer, niente stanze prese in affitto, niente palloncini o clown per intrattenere il piccolo pubblico. La festa, spiegava Revi con una certa fierezza, sarebbe iniziata alle tre a casa sua, ci sarebbe stato il dolce fatto da sua madre e la bibita del supermercato. Poi tutti a giocare a pallone nei campi.
«Io sono ragazza, non giocare a pallone.» sussurrò la piccola Matoub nel suo italiano stentato.
«Allora la mettiamo in porta.» disse Lisimanni, il suo compagno di banco, sporgendosi leggermente col busto verso la nuca che aveva davanti.
«Va bene.» confermò il festeggiato. «Però io voglio essere in squadra con Martins, lui è brasiliano. Cinque titoli mondiali...»
«SILENZIO!» tuonò d’un tratto il professor Carminati battendo il pugno sopra la cattedra. «Tu Matoub cosa hai da dire che non riesci neanche a parlare l’italiano. tornatene al tuo paese!»
Il gelo scese sopra la classe. La piccola Matoub, ormai abituata a certe scenette, si alzò in piedi e con uno strano sorriso dipinto sul volto chiese scusa a tutta la classe. Il professor Carminati, sentendosi offeso da questo atteggiamento a dir suo irriverente, andò su tutte le furie.
«Come ti permetti di sorridere!?» iniziò a sbraitare alzandosi dalla cattedra. Poi in un silenzio tombale, scese dal piccolo pulpito e a grandi falcate iniziò a percorrere il corridoio tra le due file di banchi.
«Lei è una sporca testa di cazzo.» sentì dire ad un certo punto. Carminati si irrigidì di colpo, come un manganello. Col volto contratto in una maschera fatta di odio e terrore riconobbe d’acchito la vocina che gli era appena sibilata alle spalle. Subito, come un computer impazzito, allora le fece la radiografia: Ghirlandi, ripetente, padre disoccupato e iscritto al sindacato, madre casalinga e lavoratrice ad ore. Macchina... macchina, una vecchia vecchia FIAT Panda tenuta assieme col fil di ferro. Poi, con la bocca contratta e dopo aver inspirato profondamente col naso, gridò: « Ghirlandi, adesso io e te andiamo dal preside!» A sentir quelle parole la ragazzina fece stridere i gambi metallici della sedia sul pavimento e si alzò subito in piedi. Tesa, col capo chino e lo sguardo basso, i lunghi capelli corvini le ricadevano davanti coprendole il volto. Indossava una maglietta rosa con sopra disegnata una scimmietta, un paio di pantaloni di jeans e a stento riusciva a trattenere il tremore del corpo. Sotto gli sguardi attoniti dei suoi compagni di classe, Carminati la prese malamente per mano e con passo da marcia, la costrinse a seguirla fuori dalla porta, nel corridoio, oltre l’androne delle scale e poi giù fino all’ufficio della presidenza. La ragazzina, scortata dal nervoso ticchettio dei passi che rimbombavano nel vuoto dell'istituto, però tutto sommato -a parte l'imbarazzo iniziale- non aveva paura.
Quando vedi qualcosa d’ingiusto ribellati, sempre...” gli dicevano di continuo i suoi genitori. “Al resto poi pensiamo noi grandi.”
E con questa oscura certezza nel cuore, la piccola Ghirlandi alcuni minuti dopo si trovò di fronte al preside, un ometto basso e magro, col cranio raso e la mascella leggermente squadrata. Intanto che con una strana e a lei sconosciuta voce melliflua il professor Carminati illustrava al proprio superiore la propria versione dei fatti, la ragazza, ancora col capo chino e i capelli sugli occhi, si guardava intorno con aria smarrita. Forse, visto che sui libri di scuola certe cose non le trovava mai scritte, proprio in quella circostanza capì per la prima volta che cosa intendessero dire suo padre e sua madre. Allora si fece forza e col suo sguardo di ragazzina iniziò a sbirciare il volto austero del preside, il fare succube dell’insegnante, i fogli perfettamente impilati sulla scrivania e racchiusi dentro a tante cartelline di cartone colorate. Appese alle pareti riconobbe le fotografie del Presidente della Repubblica e del nuovo papa, quello eletto da poco e di cui non riusciva mai a ricordarne il nome. La litania del professor Carminati continuava quasi con cadenza liturgica e lei, ancora di sottecchi, andò con lo sguardo oltre la finestra aperta dietro alle spalle del preside.
«Ghirlandi, certe cose non si fanno!» tuonò il preside, appena il professore
ebbe finito di parlare. «Verrai sospesa per tre giorni e quando rientri mi porti questo firmato da tuo padre e tua madre. Ma che razza di educazione ti han dato i tuoi genitori!?» Nel prendere il foglio che il sig. preside le stava porgendo da dietro la scrivania, un dolce odore di fiori le invase le narici. Alzando la testa, molto diversa da quella con cui suo padre ogni mattina l'accompagnava a scuola, Ghirlandi vide una macchina rossa simile a una palla di fuoco e poco più il là, nel giardino dell’istituto, tra un altalena e una giostra ormai in completa balia della ruggine, s’accorse che le piante e l’erba finalmente eran fiorite. A Massarosa finalmente era esplosa la primavera.

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