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Blog perverso e polimorfo, abitato da forme di vita aliene e virulente: siamo portatori insani del virus del pensiero diagonale.

venerdì 8 marzo 2013

I racconti di Nick Belanes

Lo Zingaro.

Forse tutti avrebbero smesso di chiamarlo Lo Zingaro, pensava Andrea Roianni il primo giorno di lavoro mentre con passo sicuro s'avvicinava a una scala ricoperta da un invisibile strato di ghiaccio. Proprio l’altra mattina, nella piazza di Medusa, prima che il banditore iniziasse a parlare, Andrea si era dato l’ultima possibilità: o questa è la volta buona, si era detto in maniera molto lucida e concreta, o stavolta mi tiro di sotto dalla scogliera. Mentre guardava di sottecchi la piccola folla radunarsi attorno al tavolo ancora vuoto del banditore, Andrea si defilò pian piano in disparte verso la balaustra che recintava la piccola piazza. La cinse e con lo sguardo ora puntato in basso sul rompersi nervoso delle onde del mare sopra gli scogli e ora in alto verso l'orizzonte del cielo, sentì il freddo del ferro quasi tagliargli le dita. Intabarrato in una pesantissima pelliccia di finto montone, con in testa un berretto di lana e con legata al collo una sciarpa che gli copriva buona parte del volto, il banditore come ogni altra volta, staccato dal palo il vecchio cesto di vimini con dentro i nuovi annunci da leggere, si diresse con passo flemmatico verso il suo tavolo. Era una gelida mattina dal sapore spettrale e, anziché la primavera, il pazzo mese di marzo aveva portato con sé un freddo che raramente da quelle parti si era mai sentito. Col maestoso baluardo delle gobbe Apuane spruzzate di neve e appena baciate da qualche stanco raggio di sole, e con l’odore del salmastro così denso e pesante da riuscire a inebriare anche i morti, tutto il mondo sapeva ancora d’inverno. Un secco e sottile vento di ponente pungeva la faccia e lo Zingaro, stringendosi il bavero al collo, cercò nello specchio plumbeo del mare agitato i volti di sua moglie e suo figlio. Se anche quella mattina non fosse riuscito a trovare un lavoro, continuava a pensare avvinghiato alla sua balaustra, dopo quasi tre anni di disoccupazione la vita o la morte sarebbero divenuti solamente inutili dettagli. Stretto a quel pezzo ferro gelato e con le mani incendiate dal freddo, sicuramente, continuava a rimestare i pensieri lo Zingaro, in un modo o nell'altro la famiglia sarebbe andata avanti pure senza di lui: sua moglie era una bellissima donna di trentatré anni e poteva benissimo rifarsi una vita e suo figlio... (qui però ad Andrea prese un piccolo magone che in maniera dirigenziale ricacciò subito dentro lo stomaco) e suo figlio aveva appena due anni e non si sarebbe accorto quasi di niente. Vedendo la goffa figura del banditore attraversare la piazza, la folla, sparpagliata finora come una manciata di biglie lungo la piazza, si dispose ordinatamente a ferro di cavallo attorno al tavolo dove tra poco avrebbe deposto l’urna di vimini. E mentre anche Andrea sbirciava di sottecchi questo passeggio, dopo aver rimuginato sulla famiglia, il cervello gli andò al sindacato, alle battaglie intraprese e a tutti i posti di lavoro da cui era stato direttamente o indirettamente cacciato. Decise così, per dirla con altre parole, di concedersi un’ultima e disperata probabilità di sopravvivenza. <<Se mi fai trovare lavoro..>> sussurrò muovendo impercettibilmente le labbra e alzando gli occhi al cielo, <<se mi fai trovare lavoro giuro che la faccio finita con scioperi e assemblee. Tanto (e questo, chinando il capo sul petto, lo disse a se stesso) certe faccende non sono mai interessate a nessuno>>. Con le gambe mentalmente già oltre la ringhiera di ferro e col corpo percorso da sottili e calde scosse di cariche elettriche, Andrea notò il banditore salire sopra un piccolo trespolo di legno situato ai piedi del tavolo e che lì per lì neanche aveva notato. Non era tanto alto; giusto un paio di scalini ottenuti inchiodando assieme qualche tavoletta tutta scrostata d'abete, per far sì che il suo capo sporgesse su tutte le teste del mondo. Avvicinandosi un poco a dove s'era accalcata la piccola folla, lo Zingaro subito vide il banditore calarsi la sciarpa dal volto e mischiare i messaggi dentro la cesta di vimini. In mezzo a un paradossale silenzio quasi assordante, quel fiato che ogni mattina decretava gioie e tristezze per l'una o per l'altra persona, prima di far sentire il suo suono cavernoso e profondo, si materializzò davanti agli sguardi assonnati di tutti i presenti in due sbuffi biancastri che al contatto col freddo dell'aria subito ricaddero ai piedi del tavolo sotto forma di piccoli stilli di gelo. <<Uno... >> incominciò subito dopo il banditore con la sua voce tuonante: <<Vendo set di padelle usate ma ancora in buono stato>>. Poi, dopo aver sistemato il talloncino di carta tutto spiegazzato che aveva appena estratto dalla cesta di vimini in bella vista sopra il tavolino, continuò: <<due, cerco discografia completa dei Dogs d’Amour, sono disposto a pagare anche di più del valore di mercato. Tre... sindaco saccone piendimmerda dimettiti!!! Firmato: un ammiratore segreto. Quattro... vendo carciofi a un euro al chilo. Rivolgersi direttamente al signor banditore. Max cinque chili>>. Qui, intanto che sistemava gli annunci appena letti sotto un ferma carte a forma di sfera, la voce del banditore si fermò alcuni istanti e con lo sguardo alto e imperioso andò a setacciare la folla in cerca di mani levate. <<Io ne prendo due chili>> disse una donna con dei lunghi capelli bianchi ancora arruffati dalla nottata appena trascorsa. Un vecchio giaccone di sartoria rattoppato sui fianchi ma che ancora la rivestiva a pennello, dimostrava che un tempo aveva conosciuto periodi migliori. Per fisionomia e corporatura non era né bella e né brutta, né alta e né magra. D'età non definibile, per dirla in due sole parole, pareva una donna costretta a economizzare la paga di un marito leggermente più fortunato d'Andrea. <<Io allora prendo gli altri tre chili. A un euro non si trovano nemmeno al mercato>> disse di seguito quella che solo d'apparenza pareva una giovane sposa. Al contrario della donna che aveva appena parlato, teneva un tono di voce alto e squillante simile a un passo di carica ed il volto, nonostante l’ora di prima mattina, era già truccato in maniera perfetta. La gente prese a scrutarla con non poca malizia e dei risolini che ben facevano intendere il mestiere della signora, si levarono al cielo facendo increspare la folla. Con fare distaccato e da vero professionista il banditore prese nota degli ordini e dopo essersi divertito a veder condensare il suo fiato nuovamente in tanti piccoli cristalli di ghiaccio, riprese a rovistare nell’urna. <<Cinque...>> ancora rimbombò sicura per tutta la piccola piazza la solita voce, <<vendo scooter Garelli 50 al miglior offerente. Soli duemila chilometri, revisionato. Sei... caro signor sindaco volevo dirle che la sua signora se la fa con mezza Medusa. Cordiali saluti: un amico di sua moglie. Sette... Lara volevo dirti che sei tutta la mia vita. Auguri di buon compleanno dal Tuo per sempre Matteo>>. Al sentir quest’ultimo annuncio, un’indicibile sensazione d’amaro invase lo Zingaro. Fino a che tutto non mi crollasse addosso, pensò Andrea col sorriso scolpito sul volto, anche io e mia moglie ci scambiavamo messaggi del genere durante il bando. E poi a casa facevamo l’amore, l’amore quello che quando si fa si sente tremare tutta la terra. Mentre adesso... adesso è già tanto se ci scambiamo un saluto... e...<<Dieci... sei manovali per cantiere edile a Viareggio, cercasi. Chiunque fosse interessato deve rivolgersi subito all’ ingegner Picchi, via Spardiglia centotrentadue Viareggio>>. La voce del banditore rintronò nella testa dello Zingaro come se qualcuno ci avesse tirato dentro una bomba. All’udir quelle parole tutti i cattivi pensieri che gli albergavano l'anima furono scompigliati, e la vita subito riaprì quelle chiuse che ormai da tempo erano strette e serrate. Di botto. E quella stessa calma glaciale con cui aveva appena pianificato la morte, in maniera quasi del tutto incondizionata, iniziò subito a vacillare sotto le bordate di enormi cavalloni di gioia. Dopo aver guardato con apprensione che nessuno dei presenti rompesse le fila, prima di saltare in macchina e dirigersi a palla di schioppo ad abbracciare la sua rinata esistenza, ascoltò altri due annunci senza sentirli; poi, tenendo a freno la corsa, come se qualcuno gli avesse già detto che uno di quei posti era proprio per lui, lo Zingaro prese il telefono e con una contentezza che ormai pensava di non riassaporare mai più, gridò negli orecchi a sua moglie che finalmente aveva trovato un lavoro. Ma una settimana più tardi, sotto la neve, mentre lentamente saliva con passo tremolante i gradini gelati di quella maledetta scala di ferro, Andrea Roianni, sentendosi montare in corpo quell’emozione che ahimè ormai ben conosceva, comprese all’istante come sarebbe andata a finire. “Tutto questo non ha senso”, pensò una volta arrivato sul tetto “se per lavorare ad ogni passo devo rischiare la vita, tutto sommato sarebbe meglio farla finita per sempre”. Con intensità molto maggiore, quella stessa sensazione di gioia provata la mattina del bando, impossessandosi di ogni più recondito anfratto dell'anima, piolo dopo piolo adesso s'era rifatta viva sotto forma di un'angoscia opprimente. Oppressione, questa, molto simile a quella che deve provare un topo che si rinfila in una trappola del tutto uguale (o forse anche peggiore) a quella da cui era certo di essere appena riuscito a fuggire. Andrea Roianni detto Lo Zingaro, così, complice forse la neve e quella maledetta scala così scivolosa e traballante che aveva appena salita, decise che non appena fosse finito il turno sarebbe subito andato dal suo nuovo principale e gli avrebbe spiegato come realmente stavano le cose. Suicidarsi perché non si aveva un lavoro, continuava ad arzigogolare sopra quel tetto anch'esso scosceso e sdrucciolevole quanto quell'arnese di ferro che tanto lo aveva fatto patire, era uguale a rischiare ogni volta di scivolare da una scala gelata e rompersi l’osso del collo. Sicuramente, per una banale questione di dignità, minore era la sofferenza e l'umiliazione che un uomo si trovava costretto a subire. Conscio perciò del diritto di potersi scegliere almeno la morte ripensò allora agli scogli sotto la balaustra che cingeva la piccola piazza di Medusa dove aveva udito per l'ultima volta la voce del banditore. Si sentì risollevato. Col volto e le mani arrossate dal freddo, Andrea Roianni detto lo Zingaro, chiuse gli occhi, allargò le braccia e rischiando di sfracellarsi al suolo con uno strano sorriso scolpito sul volto, inarcò la schiena tirando indietro la testa. Stancamente aveva ripreso a nevicare e dei piccoli granelli d'aria gelata, rimastegli incastrati tra i lunghi e ispidi peli della barba come tanti piccoli granelli di sale, almeno per alcuni momenti gli parve riuscissero a raffreddare quella informe e bizzarra onda di fango che gli stava soffocando il respiro. Poi mise una mano dentro la tasca mezza sfondata del suo vecchio giaccone da lavoro, sentì la rassicurante forma spigolosa del pacchetto di Marlboro bucarli la pelle intirizzita dal gelo, e per la prima volta il suo cervello razionalizzò che quel nuovo figlio di puttana per il quale stava lavorando nemmeno gli aveva dato dei guanti. <<That’s life>> sogghignò accendendosi una sigaretta. E mentre avidamente aspirava il male che lo stava corrodendo per ricacciarlo fuori in caldi e rassicuranti sbuffi di fumo, lo Zingaro, chiedendosi di come a lui che aveva anche studiato fosse poi potuta andare a finire a quel modo, si guardò attorno con aria spaurita. Tutto, sotto quell’inusuale e plumbeo cielo di marzo, era ricoperto da una sottile coltre di neve biancastra: il tetto spiovente sul quale era appena salito, gli attrezzi e i pannelli solari accatastati alla rinfusa ai suoi piedi e che nonostante il mal tempo avrebbe dovuto montare, gli alberi intorno, le auto parcheggiate lungo la strada, quel cazzo di scala di ferro arrugginito, i monti alle sue spalle e ogni altra sorta di ammennicolo urbanistico; ogni forma di vita, dicevo, era accarezzata da un bianco sudario che per un suo vezzo speciale il buon Dio aveva deciso di spargere su tutto il mondo. Sospinte dalla perturbazione, strappandola al bianco e facendo ritornare normale il colore della spiaggia, le infuriate onde del mare si abbattevano sulla costa riappropriandosi di quello che gli apparteneva come diritto. “Ecco cosa dovrebbero fare anche gli uomini”, sognò lo Zingaro godendosi dall’alto anche questo spettacolo. “Se tutti i lavoratori anziché chinare sempre la testa facessero invece come le onde del mare, poveri e ricchi potrebbero andare tutti in pensione”. <<Andrea... Andrea!>> si sentì poi tutto a un tratto chiamare dal basso. <<Vieni giù che ieri ho dimenticato di portare sul tetto il frullino e la prolunga>> disse il suo nuovo collega che era rimasto sopra il furgone a bersi il tè caldo che teneva nel thermos. Per Andrea Roianni detto lo Zingaro, anche se già aveva deciso circa al proprio futuro, era pur sempre quello il primo giorno del nuovo lavoro e per dimostrare specialmente a se stesso di quanto fosse immeritato quel suo soprannome, con quella disumana rabbia dentro alle viscere di cui sopra abbiamo discorso, decise di comportarsi come avrebbe fatto qualsiasi altro lavoratore che si fosse trovato nelle sue condizioni. Dopo aver dato ancora un ultimo sguardo a quella lontana e sottile striscia marrone che spumeggiante divideva senza alcuno ritegno il bene dal male, Andrea gettò via la sua Marlboro e fatti alcuni incerti passetti sul tetto spiovente e gelato iniziò a ridiscendere quella scala che non senza rischio e fatica il suo nuovo preposto gli aveva appena fatto salire. Scesi i primi pioli, fermatosi un attimo per acquistare sicurezza nel movimento, guardò in basso e vide il collega più anziano comodamente seduto al posto di guida del camioncino a sorseggiare il suo tè. <<Dai muoviti che bisogna sbrigarsi col lavoro. Mi ero dimenticato di portar su la roba!>> questi gli urlò nuovamente, abbassando velocemente il finestrino per poi richiuderlo subito dopo. Quelle parole gridate in mezzo ai fiocchi di neve andarono a schiantarsi sul corpo d'Andrea come una frustata. Il non sottostare a questo genere di umiliazioni, da sempre era stato per lui quello che sua moglie chiamava “una rovina”. Col corpo tremante di rabbia quindi lo Zingaro riprese nella discesa. Una volta arrivato a terra avrebbe aperto la porta del furgoncino, infilato il thermos nel culo al proprio collega e dopo avergli spiegato così in cosa consisteva l'educazione, sarebbe andato a consegnare le dimissioni al suo nuovo datore di lavoro e a compiere poi quella cosa che ormai anche noi conosciamo. Questo, senza diritto di replica, sarebbe stato il suo ultimo intendimento. Ma con la mente annebbiata da tutta quella vibrante furia che teneva tra i nervi, con la neve e col vento che adesso si erano fatti più forti, ad Andrea Roianni, mentre allungava una gamba per discendere un altro piolo, slittò senza che nemmeno se ne accorgesse il piede d'appoggio. Tutto d'un tratto, con l'amaro in bocca di chi comprende che mai riuscirà a portare in fondo un proposito, lo Zingaro capì immediatamente che la sua esistenza stava per fare i bagagli. “Ecco ci siamo” sorrise lo Zingaro, sentendosi mancare la vita sotto il tallone. Era un qualcosa che bene o male aveva sempre aspettato, o che sapeva benissimo che in ogni momento gli sarebbe potuto accadere. Tanto per intenderci un po' meglio: come quando si aspetta un vecchio amico in ritardo ad un appuntamento, o qualcosa del genere. Poi, cercando inutilmente di aggrapparsi allo scuro manto del cielo, Andrea Roianni sbatté le braccia come fossero ali di piombo e prese a cadere. “Tra poco sarò libero” rimuginò mentre con la coda dell’occhio vide il suo collega gridare da dietro il vetro del camioncino portandosi le mani alla testa. Il tè caldo, almeno quello, sicuramente gli deve essere andato di traverso. Ninnato da un noiosissimo fracasso metallico che niente lasciava sperare a ogni sorta di compromesso, lo Zingaro, prima di chiudere gli occhi per sempre riuscì solo a pensare di come la vita fosse stata bizzarra: appena ieri sera, mentre faceva l’amore assieme a sua moglie, dissipato in quell’attimo dove inferno e paradiso sono soltanto il fremito di un momento, dopo tanto tempo aveva finalmente risentito sotto il suo corpo tremare la terra. Poi un ultima boccata di gelida aria pungente andò a gonfiargli i polmoni. “Così almeno mia moglie potrà dire a mio figlio che suo padre no, non era uno Zingaro” pensò poi nell'ultimo istante Andrea Roianni, prima di chiudere gli occhi per sempre.

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