Lo Zingaro.
Forse
tutti avrebbero smesso di chiamarlo Lo Zingaro, pensava Andrea
Roianni il primo giorno di lavoro mentre con passo sicuro
s'avvicinava a una scala ricoperta da un invisibile strato di
ghiaccio. Proprio l’altra mattina, nella piazza di Medusa, prima
che il banditore iniziasse a parlare, Andrea si era dato l’ultima
possibilità: o questa è la volta buona, si era detto in maniera
molto lucida e concreta, o stavolta mi tiro di sotto dalla scogliera.
Mentre guardava di sottecchi la piccola folla radunarsi attorno al
tavolo ancora vuoto del banditore, Andrea si defilò pian piano in
disparte verso la balaustra che recintava la piccola piazza. La cinse
e con lo sguardo ora puntato in basso sul rompersi nervoso delle onde
del mare sopra gli scogli e ora in alto verso l'orizzonte del cielo,
sentì il freddo del ferro quasi tagliargli le dita. Intabarrato in
una pesantissima pelliccia di finto montone, con in testa un berretto
di lana e con legata al collo una sciarpa che gli copriva buona parte
del volto, il banditore come ogni altra volta, staccato dal palo il
vecchio cesto di vimini con dentro i nuovi annunci da leggere, si
diresse con passo flemmatico verso il suo tavolo. Era una gelida
mattina dal sapore spettrale e, anziché la primavera, il pazzo mese
di marzo aveva portato con sé un freddo che raramente da quelle
parti si era mai sentito. Col maestoso baluardo delle gobbe Apuane
spruzzate di neve e appena baciate da qualche stanco raggio di sole,
e con l’odore del salmastro così denso e pesante da riuscire a
inebriare anche i morti, tutto il mondo sapeva ancora d’inverno. Un
secco e sottile vento di ponente pungeva la faccia e lo Zingaro,
stringendosi il bavero al collo, cercò nello specchio plumbeo del
mare agitato i volti di sua moglie e suo figlio. Se anche quella
mattina non fosse riuscito a trovare un lavoro, continuava a pensare
avvinghiato alla sua balaustra, dopo quasi tre anni di disoccupazione
la vita o la morte sarebbero divenuti solamente inutili dettagli.
Stretto a quel pezzo ferro gelato e con le mani incendiate dal
freddo, sicuramente, continuava a rimestare i pensieri lo Zingaro, in
un modo o nell'altro la famiglia sarebbe andata avanti pure senza di
lui: sua moglie era una bellissima donna di trentatré anni e poteva
benissimo rifarsi una vita e suo figlio... (qui però ad Andrea prese
un piccolo magone che in maniera dirigenziale ricacciò subito dentro
lo stomaco) e suo figlio aveva appena due anni e non si sarebbe
accorto quasi di niente. Vedendo la goffa figura del banditore
attraversare la piazza, la folla, sparpagliata finora come una
manciata di biglie lungo la piazza, si dispose ordinatamente a ferro
di cavallo attorno al tavolo dove tra poco avrebbe deposto l’urna
di vimini. E mentre anche Andrea sbirciava di sottecchi questo
passeggio, dopo aver rimuginato sulla famiglia, il cervello gli andò
al sindacato, alle battaglie intraprese e a tutti i posti di lavoro
da cui era stato direttamente o indirettamente cacciato. Decise così,
per dirla con altre parole, di concedersi un’ultima e disperata
probabilità di sopravvivenza. <<Se mi fai trovare lavoro..>>
sussurrò muovendo impercettibilmente le labbra e alzando gli occhi
al cielo, <<se mi fai trovare lavoro giuro che la faccio finita
con scioperi e assemblee. Tanto (e questo, chinando il capo sul
petto, lo disse a se stesso) certe faccende non sono mai interessate
a nessuno>>. Con le gambe mentalmente già oltre la ringhiera
di ferro e col corpo percorso da sottili e calde scosse di cariche
elettriche, Andrea notò il banditore salire sopra un piccolo
trespolo di legno situato ai piedi del tavolo e che lì per lì
neanche aveva notato. Non era tanto alto; giusto un paio di scalini
ottenuti inchiodando assieme qualche tavoletta tutta scrostata
d'abete, per far sì che il suo capo sporgesse su tutte le teste del
mondo. Avvicinandosi un poco a dove s'era accalcata la piccola folla,
lo Zingaro subito vide il banditore calarsi la sciarpa dal volto e
mischiare i messaggi dentro la cesta di vimini. In mezzo a un
paradossale silenzio quasi assordante, quel fiato che ogni mattina
decretava gioie e tristezze per l'una o per l'altra persona, prima di
far sentire il suo suono cavernoso e profondo, si materializzò
davanti agli sguardi assonnati di tutti i presenti in due sbuffi
biancastri che al contatto col freddo dell'aria subito ricaddero ai
piedi del tavolo sotto forma di piccoli stilli di gelo. <<Uno...
>> incominciò subito dopo il banditore con la sua voce
tuonante: <<Vendo set di padelle usate ma ancora in buono
stato>>. Poi, dopo aver sistemato il talloncino di carta tutto
spiegazzato che aveva appena estratto dalla cesta di vimini in bella
vista sopra il tavolino, continuò: <<due, cerco discografia
completa dei Dogs d’Amour, sono disposto a pagare anche di più del
valore di mercato. Tre... sindaco saccone piendimmerda dimettiti!!!
Firmato: un ammiratore segreto. Quattro... vendo carciofi a un euro
al chilo. Rivolgersi direttamente al signor banditore. Max cinque
chili>>. Qui, intanto che sistemava gli annunci appena letti
sotto un ferma carte a forma di sfera, la voce del banditore si fermò
alcuni istanti e con lo sguardo alto e imperioso andò a setacciare
la folla in cerca di mani levate. <<Io ne prendo due chili>>
disse una donna con dei lunghi capelli bianchi ancora arruffati dalla
nottata appena trascorsa. Un vecchio giaccone di sartoria rattoppato
sui fianchi ma che ancora la rivestiva a pennello, dimostrava che un
tempo aveva conosciuto periodi migliori. Per fisionomia e corporatura
non era né bella e né brutta, né alta e né magra. D'età non
definibile, per dirla in due sole parole, pareva una donna costretta
a economizzare la paga di un marito leggermente più fortunato
d'Andrea. <<Io allora prendo gli altri tre chili. A un euro
non si trovano nemmeno al mercato>> disse di seguito quella che
solo d'apparenza pareva una giovane sposa. Al contrario della donna
che aveva appena parlato, teneva un tono di voce alto e squillante
simile a un passo di carica ed il volto, nonostante l’ora di prima
mattina, era già truccato in maniera perfetta. La gente prese a
scrutarla con non poca malizia e dei risolini che ben facevano
intendere il mestiere della signora, si levarono al cielo facendo
increspare la folla. Con fare distaccato e da vero professionista il
banditore prese nota degli ordini e dopo essersi divertito a veder
condensare il suo fiato nuovamente in tanti piccoli cristalli di
ghiaccio, riprese a rovistare nell’urna. <<Cinque...>>
ancora rimbombò sicura per tutta la piccola piazza la solita voce,
<<vendo scooter Garelli 50 al miglior offerente. Soli duemila
chilometri, revisionato. Sei... caro signor sindaco volevo dirle che
la sua signora se la fa con mezza Medusa. Cordiali saluti: un amico
di sua moglie. Sette... Lara volevo dirti che sei tutta la mia vita.
Auguri di buon compleanno dal Tuo per sempre Matteo>>. Al
sentir quest’ultimo annuncio, un’indicibile sensazione d’amaro
invase lo Zingaro. Fino a che tutto non mi crollasse addosso, pensò
Andrea col sorriso scolpito sul volto, anche io e mia moglie ci
scambiavamo messaggi del genere durante il bando. E poi a casa
facevamo l’amore, l’amore quello che quando si fa si sente
tremare tutta la terra. Mentre adesso... adesso è già tanto se ci
scambiamo un saluto... e...<<Dieci... sei manovali per cantiere
edile a Viareggio, cercasi. Chiunque fosse interessato deve
rivolgersi subito all’ ingegner Picchi, via Spardiglia
centotrentadue Viareggio>>. La voce del banditore rintronò
nella testa dello Zingaro come se qualcuno ci avesse tirato dentro
una bomba. All’udir quelle parole tutti i cattivi pensieri che gli
albergavano l'anima furono scompigliati, e la vita subito riaprì
quelle chiuse che ormai da tempo erano strette e serrate. Di botto. E
quella stessa calma glaciale con cui aveva appena pianificato la
morte, in maniera quasi del tutto incondizionata, iniziò subito a
vacillare sotto le bordate di enormi cavalloni di gioia. Dopo aver
guardato con apprensione che nessuno dei presenti rompesse le fila,
prima di saltare in macchina e dirigersi a palla di schioppo ad
abbracciare la sua rinata esistenza, ascoltò altri due annunci senza
sentirli; poi, tenendo a freno la corsa, come se qualcuno gli avesse
già detto che uno di quei posti era proprio per lui, lo Zingaro
prese il telefono e con una contentezza che ormai pensava di non
riassaporare mai più, gridò negli orecchi a sua moglie che
finalmente aveva trovato un lavoro. Ma una settimana più tardi,
sotto la neve, mentre lentamente saliva con passo tremolante i
gradini gelati di quella maledetta scala di ferro, Andrea Roianni,
sentendosi montare in corpo quell’emozione che ahimè ormai ben
conosceva, comprese all’istante come sarebbe andata a finire.
“Tutto questo non ha senso”, pensò una volta arrivato sul tetto
“se per lavorare ad ogni passo devo rischiare la vita, tutto
sommato sarebbe meglio farla finita per sempre”. Con intensità
molto maggiore, quella stessa sensazione di gioia provata la mattina
del bando, impossessandosi di ogni più recondito anfratto
dell'anima, piolo dopo piolo adesso s'era rifatta viva sotto forma di
un'angoscia opprimente. Oppressione, questa, molto simile a quella
che deve provare un topo che si rinfila in una trappola del tutto
uguale (o forse anche peggiore) a quella da cui era certo di essere
appena riuscito a fuggire. Andrea Roianni detto Lo Zingaro, così,
complice forse la neve e quella maledetta scala così scivolosa e
traballante che aveva appena salita, decise che non appena fosse
finito il turno sarebbe subito andato dal suo nuovo principale e gli
avrebbe spiegato come realmente stavano le cose. Suicidarsi perché
non si aveva un lavoro, continuava ad arzigogolare sopra quel tetto
anch'esso scosceso e sdrucciolevole quanto quell'arnese di ferro che
tanto lo aveva fatto patire, era uguale a rischiare ogni volta di
scivolare da una scala gelata e rompersi l’osso del collo.
Sicuramente, per una banale questione di dignità, minore era la
sofferenza e l'umiliazione che un uomo si trovava costretto a subire.
Conscio perciò del diritto di potersi scegliere almeno la morte
ripensò allora agli scogli sotto la balaustra che cingeva la piccola
piazza di Medusa dove aveva udito per l'ultima volta la voce del
banditore. Si sentì risollevato. Col volto e le mani arrossate dal
freddo, Andrea Roianni detto lo Zingaro, chiuse gli occhi, allargò
le braccia e rischiando di sfracellarsi al suolo con uno strano
sorriso scolpito sul volto, inarcò la schiena tirando indietro la
testa. Stancamente aveva ripreso a nevicare e dei piccoli granelli
d'aria gelata, rimastegli incastrati tra i lunghi e ispidi peli della
barba come tanti piccoli granelli di sale, almeno per alcuni momenti
gli parve riuscissero a raffreddare quella informe e bizzarra onda di
fango che gli stava soffocando il respiro. Poi mise una mano dentro
la tasca mezza sfondata del suo vecchio giaccone da lavoro, sentì la
rassicurante forma spigolosa del pacchetto di Marlboro bucarli la
pelle intirizzita dal gelo, e per la prima volta il suo cervello
razionalizzò che quel nuovo figlio di puttana per il quale stava
lavorando nemmeno gli aveva dato dei guanti. <<That’s life>>
sogghignò accendendosi una sigaretta. E mentre avidamente aspirava
il male che lo stava corrodendo per ricacciarlo fuori in caldi e
rassicuranti sbuffi di fumo, lo Zingaro, chiedendosi di come a lui
che aveva anche studiato fosse poi potuta andare a finire a quel
modo, si guardò attorno con aria spaurita. Tutto, sotto
quell’inusuale e plumbeo cielo di marzo, era ricoperto da una
sottile coltre di neve biancastra: il tetto spiovente sul quale era
appena salito, gli attrezzi e i pannelli solari accatastati alla
rinfusa ai suoi piedi e che nonostante il mal tempo avrebbe dovuto
montare, gli alberi intorno, le auto parcheggiate lungo la strada,
quel cazzo di scala di ferro arrugginito, i monti alle sue spalle e
ogni altra sorta di ammennicolo urbanistico; ogni forma di vita,
dicevo, era accarezzata da un bianco sudario che per un suo vezzo
speciale il buon Dio aveva deciso di spargere su tutto il mondo.
Sospinte dalla perturbazione, strappandola al bianco e facendo
ritornare normale il colore della spiaggia, le infuriate onde del
mare si abbattevano sulla costa riappropriandosi di quello che gli
apparteneva come diritto. “Ecco cosa dovrebbero fare anche gli
uomini”, sognò lo Zingaro godendosi dall’alto anche questo
spettacolo. “Se tutti i lavoratori anziché chinare sempre la testa
facessero invece come le onde del mare, poveri e ricchi potrebbero
andare tutti in pensione”. <<Andrea... Andrea!>> si
sentì poi tutto a un tratto chiamare dal basso. <<Vieni giù
che ieri ho dimenticato di portare sul tetto il frullino e la
prolunga>> disse il suo nuovo collega che era rimasto sopra il
furgone a bersi il tè caldo che teneva nel thermos. Per Andrea
Roianni detto lo Zingaro, anche se già aveva deciso circa al proprio
futuro, era pur sempre quello il primo giorno del nuovo lavoro e per
dimostrare specialmente a se stesso di quanto fosse immeritato quel
suo soprannome, con quella disumana rabbia dentro alle viscere di cui
sopra abbiamo discorso, decise di comportarsi come avrebbe fatto
qualsiasi altro lavoratore che si fosse trovato nelle sue condizioni.
Dopo aver dato ancora un ultimo sguardo a quella lontana e sottile
striscia marrone che spumeggiante divideva senza alcuno ritegno il
bene dal male, Andrea gettò via la sua Marlboro e fatti alcuni
incerti passetti sul tetto spiovente e gelato iniziò a ridiscendere
quella scala che non senza rischio e fatica il suo nuovo preposto gli
aveva appena fatto salire. Scesi i primi pioli, fermatosi un attimo
per acquistare sicurezza nel movimento, guardò in basso e vide il
collega più anziano comodamente seduto al posto di guida del
camioncino a sorseggiare il suo tè. <<Dai muoviti che bisogna
sbrigarsi col lavoro. Mi ero dimenticato di portar su la roba!>>
questi gli urlò nuovamente, abbassando velocemente il finestrino per
poi richiuderlo subito dopo. Quelle parole gridate in mezzo ai
fiocchi di neve andarono a schiantarsi sul corpo d'Andrea come una
frustata. Il non sottostare a questo genere di umiliazioni, da sempre
era stato per lui quello che sua moglie chiamava “una rovina”.
Col corpo tremante di rabbia quindi lo Zingaro riprese nella discesa.
Una volta arrivato a terra avrebbe aperto la porta del furgoncino,
infilato il thermos nel culo al proprio collega e dopo avergli
spiegato così in cosa consisteva l'educazione, sarebbe andato a
consegnare le dimissioni al suo nuovo datore di lavoro e a compiere
poi quella cosa che ormai anche noi conosciamo. Questo, senza diritto
di replica, sarebbe stato il suo ultimo intendimento. Ma con la mente
annebbiata da tutta quella vibrante furia che teneva tra i nervi, con
la neve e col vento che adesso si erano fatti più forti, ad Andrea
Roianni, mentre allungava una gamba per discendere un altro piolo,
slittò senza che nemmeno se ne accorgesse il piede d'appoggio.
Tutto d'un tratto, con l'amaro in bocca di chi comprende che mai
riuscirà a portare in fondo un proposito, lo Zingaro capì
immediatamente che la sua esistenza stava per fare i bagagli. “Ecco
ci siamo” sorrise lo Zingaro, sentendosi mancare la vita sotto il
tallone. Era un qualcosa che bene o male aveva sempre aspettato, o
che sapeva benissimo che in ogni momento gli sarebbe potuto accadere.
Tanto per intenderci un po' meglio: come quando si aspetta un vecchio
amico in ritardo ad un appuntamento, o qualcosa del genere. Poi,
cercando inutilmente di aggrapparsi allo scuro manto del cielo,
Andrea Roianni sbatté le braccia come fossero ali di piombo e prese
a cadere. “Tra poco sarò libero” rimuginò mentre con la coda
dell’occhio vide il suo collega gridare da dietro il vetro del
camioncino portandosi le mani alla testa. Il tè caldo, almeno
quello, sicuramente gli deve essere andato di traverso. Ninnato da un
noiosissimo fracasso metallico che niente lasciava sperare a ogni
sorta di compromesso, lo Zingaro, prima di chiudere gli occhi per
sempre riuscì solo a pensare di come la vita fosse stata bizzarra:
appena ieri sera, mentre faceva l’amore assieme a sua moglie,
dissipato in quell’attimo dove inferno e paradiso sono soltanto il
fremito di un momento, dopo tanto tempo aveva finalmente risentito
sotto il suo corpo tremare la terra. Poi un ultima boccata di gelida
aria pungente andò a gonfiargli i polmoni. “Così almeno mia
moglie potrà dire a mio figlio che suo padre no, non era uno
Zingaro” pensò poi nell'ultimo istante Andrea Roianni, prima di
chiudere gli occhi per sempre.
bello. Bravo Nick !
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