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Blog perverso e polimorfo, abitato da forme di vita aliene e virulente: siamo portatori insani del virus del pensiero diagonale.

lunedì 30 settembre 2013

LA VERTENZA.....



La segreteria della della Filcams Cgil si era appena riunita nel bunker segreto della nuova Camera del Lavoro di Stalinlucca, un palazzo di vetro che come un fungo s'ergeva al centro della città. Una luce bianca inondava la stanza e davanti a un enorme monitor a 84 pollici Lcd 4k, seduti attorno a un grande tavolo in cristallo, il compagno segretario, il compagno informativo e il compagno dell'ufficio vertenze, stavano attendendo in trepida attesa l'inizio della parte finale dell'operazione “Grande Fratello.....No grazie!!!”. Una lavoratrice di un noto locale della vicina Morte dei Marmi si era infatti andata a lamentare proprio dal compagno dell'ufficio vertenze che lì, in quel bar all'ultima moda dove venivano servite le apericene su vassoi di titanio contornati da led colorati alimentati a falcata, il suo titolare, un uomo calvo e non tanto alto e che adesso con la sua pancia propinante come una mongolfiera un po' sgonfia stava impallando quasi tutto lo schermo, aveva fatto installare delle telecamere modello CIA a controllo remoto direttamente puntate sul bancone del bar, sulla veranda dei tavoli e in cucina proprio dietro alle spalle della cuoca. Una faccenda vietata da qualsiasi legge umana, penale o divina. E poi, come se non bastasse, spiegò la cameriera Giuseppina con un piacevole e strano tono di voce leggermente sforzato durante quel suo primo incontro col sindacato: - e come se non bastasse non sono nemmeno assicurata!-. “Però il monitor non le rende giustizia” pensava proprio il compagno dell'ufficio vertenze, ritornando col pensiero a quelle parole. Creola, alta all'incirca un metro e ottanta centimetri, con un fisico mozzafiato da far invidia a Jessica Rabbit accarezzato da lunghissimi capelli corvini impalpabili come la seta, la compagna Beppa -questo fu subito il nome di battaglia affibbiatele dal compagno segretario una volta che la donna ebbe preso la tessera-, con una microcameraspia rest one accuratamente installata dal compagno tecnico proprio al centro del suo striminzitissimo top da lavoro, si stava infatti allontanando dal suo principale per sculettare il più velocemente possibile con in mano un pezzo di metallo rettangolare che riluceva come un alberello di natale.
-Passa alla telecamera due- tuonò il compagno segretario, guardandosi con aria indispettita attorno la stanza. Il compagno informativo, colui addetto alla formazione-informazione del personale della Camera del Lavoro di Stalinlucca, muovendo appena appena l'indice della mano sinistra sfiorò il tasto rest two del pannello oleografico posto sul tavolo delle riunioni e commutò la microcameraspia a nano pixel installata sugli abiti da lavoro della compagna Beppa, con quella precedentemente applicata dal compagno infiltrato sul soffitto della veranda con vista sul mare del locale.
-Compagno informativo- tuonò poi il compagno segretario indicando tre grandi bassorilievi di purissimo vetro di Murano appesi a una delle bianchissime pareti del bunker. -E' mai possibile che i ritratti dei Compagni Longo e Di Vittorio siano appesi in maniera perfetta e che quello al centro, quello della compagna Camusso, non ci sia modo e maniera di farlo stare diritto!?-.
-Ci penso io compagni state tranquilli- disse il compagno dell'ufficio vertenze alzandosi di scatto dalla sua sedia di plastica polvirex colo panna. Arrivato a grandi passi alla porta del bunker- bianca anch'essa- si fece scansionare la retina da una lucettina verde che in tutto quel pallido candore riluceva come la sottile lama di una spada Jedi e, una volta essersi fatto scansionare anche l'impronta digitale del pollice sinistro da uno scanner elettronico, uscì fuori dalla sala riunioni per farvici ritorno subito dopo con in mano un tubetto di attacca tutto mille chiodi di ultima generazione.
-Mi raccomando di normalizzare una volta per tutte questa noiosa faccenda!!- rimbombò nuovamente come un tuono la voce del segretario.
-Ecco fatto!- disse infatti il compagno dell'ufficio vertenze, dopo aver messo velocemente due punti di colla ai lembi inferiori del delicatissimo ritratto della compagna Camusso. -Adesso anche la Susy è perfettamente allineata coi compagni Longo e Di Vittorio-.
-Perfetto torna a sedere- s'intromise la voce robusta del compagno informativo, con lo sguardo puntato sul monitor a 84 K Lcd 4k. La compagna Beppa infatti era già entrata nella veranda con vista sul mare dove venivano servite le apericene e sul maxi schermo, quasi a grandezza naturale, ora appariva la sua figura ripresa dall'alto che stava appoggiando il vassoio in titanio coi coloratissimi led lampeggianti con sopra delle bevande anch'esse di mille colori, al centro di un tavolino contornato da ragazzi che con la bava alla bocca non riuscivano a toglierle gli occhi di dosso. Su dei tacchi a spillo alti così, fasciati in quell'attillatissimo top dove al suo centro era stata installata sotto forma di strass la microcameraspia a nano pixel rest one e un un paio di pantaloni di jeans sapientemente tagliati ad altezza chiappa, aveva infatti due tettone ed un culo talmente esplosivi che Michelangelo in persona pareva aver sapientemente ricavato da un robusto, sinuoso e flessibile tronco di ebano.
-Torna a sedere!- tuonò nuovamente il compagno segretario, con lo sguardo rivolto verso le tre fragili gigantografie adesso finalmente tutte perfettamente allineate. Il compagno dell'ufficio vertenze, anch'egli con lo sguardo puntato sul maxi schermo sobbalzò, richiuse alla svelta il tubetto d'attacca tutto mille chiodi d'ultima generazione e in un nano secondo fu nuovamente in prossimità della sua postazione. Ma proprio mentre fece per scostare la sua sedia di plastica polvirex color panna dal tavolo in cristallo per mettersi a sedere, WROOMMMM!!, un rumore assordante riecheggiò per tutto il bunker. Di normalizzare quella faccenda che tanto pungeva lo sguardo del compagno segretario, sembrava che non ci fossero proprio modo e maniera: i ritratti dei Compagni Longo e Di Vittorio s'erano di colpo staccati dal muro ed erano rovinati al suolo finendo così in mille pezzi.
-Compagni maledizione!!- picchiò il pugno sul tavolo di pregiato cristallo facendolo vibrare tutto, il compagno segretario. Gli altri due compagni di corsa uscirono dal bunker segreto della Camera del Lavoro di Stalinlucca e dopo aver preso il nuovissimo ascensore con propulsione ad anti materia ed essere stati all'ufficio storico situato su al cinquantesimo piano, fecero ritorno nel bunker segreto con in mano altre due gigantografie sempre in pregiatissimo vetro di Murano.
-Ci sono rimaste solamente queste- dissero all'unisono mostrando al compagno segretario i faccioni sorridenti di Ottaviano del Turco e di Guglielmo Epifani.
-Bene ripulite tutto e appendetele. Poi dedichiamoci all'operazione Grande Fratello...No grazie!-. Poggiati un attimo a terra i preziosi ritratti il compagno informativo batté due volte le mani e s'aprì una porticina infondo alla stanza da dove fuoriuscì un robot umanoide con in mano una pattumiera e una scopa. Si chiamava Silvio e con un parrucchino di plastica sopra la testa e un abbagliante sorriso di finissima porcellana subpatinata a trentadue denti stampato sul volto, era vestito in doppio petto blu, con calzoni blu, camicia e cravatta blu. Di tecnologia tedesca, venne ordinato giusto qualche mese prima dal compagno magazziniere a un'azienda multidivisionale con sede legale in bassa Sassonia, facente direttamente capo al colosso della Volswagen. Come se non bastasse a garantirne l'affidabilità, era trapelata la notizia che addirittura ne usasse uno del tutto identico anche la cancelliera Merkel, per le sue faccende domestiche. Besen hinterlässt keine flecken, ideal für schrank, c'era scritto sopra la scatola da imballaggi scaricata dal corriere di Amazon proprio di fronte al portone d'ingrasso della nuova Camera de Lavoro di Stalinlucca.
-Grazie Silvio- dissero i compagni una volta che il robot ebbe ripulito tutto il prezioso vetrame dal pavimento, guardandolo sibilare dal culo delle rarefatte nuvolette di gas aromatizzate al pino silvestre per poi rientrare svelto svelto dentro il buco nella parete in fondo alla stanza.
-Adesso svelti, attaccate i ritratti di vetro. Qui la situazione sta iniziando a farsi interessante- esclamò a mezza voce il compagno segretario. Le immagini trasmesse dal monitor di futuristica generazione 4K, mostravano infatti il maialesco volto del datore di lavoro che seduto dietro alla cassa stava armeggiando qualcosa con un grosso telefono cellulare. Sicuramente il controllo remoto delle telecamere modello CIA per spiare i suoi dipendenti. Non c'era più un attimo da perdere e normalizzata la situazione dentro la stanza del bunker, appese cioè saldamente al muro le nuove gigantografie in vetro di Murano dei volti sorridenti dei compagni Ottaviano del Turco e Guglielmo Epifani accanto a quello sornione della compagna Susanna Camusso, finalmente i due sindacalisti poterono raggiungere il loro capo al grosso tavolo di cristallo e dedicarsi all'operazione “Grande fratello......No grazie!!”.
-Allora qual'era il piano?- chiese proprio quest'ultimo quando tutti e tre rifurono allineati dietro al tavolino comodamente seduti sulle loro sedie di plastica polvirex color panna.
-Quando il farabutto s'apparta per spiare i dipendenti col cellulare, la compagna Beppa lo coglierà in fragranza di reato e gli scatterà una fotografia con la microcameraspia a nano pixel rest one- disse il compagno informativo.
-E così poi a quel porco gli facciamo la vertenza- ghignò subito dopo il compagno dell'ufficio vertenze.
-Va bene signor....no scusate compagni, adesso datemi l'audio- disse il compagno segretario rilassandosi sulla sua postazione.
Il compagno informativo fece nuovamente scivolare l'indice sinistro sopra il pannello a touch screen oleografato sul tavolo di cristallo e da un impianto Bose sounround che comandava cento trentacinque mini speaker installati dentro a un contro soffitto rivestito di pelle bianca, fuoriuscì un suono che riproduceva fedelmente in tutto e per tutto le voci, i rumori e anche i più sottili tintinnii di bicchieri che si susseguivano dentro il locale. In mezzo ai vari “mamma mia che culo” e “mamma mia che tette”  e al vivace brusio di voci e schiamazzi che aleggiava dentro il locale, il volto serio e tirato della compagna Beppa, per alcuni brevissimi istanti, apparve inquadrato in primissimo piano dalla telecamera rest two in tutta la sua strana, angelica e devastante bellezza. Decine di microscopici forellini attorno alle labbra leggermente rialzate e infiammate da un fiammeggiante rosso infuocato, centinaia di piccoli bucherelli praticamente invisibili ad occhio nudo sulle guance lisce come la pelle di un neonato, le conferivano infatti una creola espressione stranamente sintetica e di artefatta magnificenza. Erano appena le 23:18, una luna estiva grossa come un pompelmo rifletteva i suoi tediosi raggi sopra le enormi vetrate della camera del lavoro illuminando d'argento una Stalinlucca già sprofondata nel sonno. Al contrario, invece, il mega schermo a 84 pollici 4k davanti al quale ormai da qualche era seduta la segreteria della Filcams e i cento trentacinque mini speaker installati al soffitto, continuavano in maniera imperterrita a trasmettere nel segretissimo etere del bunker le frizzanti immagini della Morte dei Marmi by night: sculettanti cameriere d'ogni nazionalità mezze nude che affannosamente dispensavano ai tavoli le bevande sopra quei costosissimi vassoi in titanio contornati dai coloratissimi led alimentati a falcata; ragazzi e ragazze di giovanissima età agghindati di tutto punto seduti ai tavoli con sorrisi larghi da orecchio a orecchio che in maniera quasi scomposta sorseggiavano i drink appena serviti; luci soffuse, schiamazzi, risa, musica e discorsi d'amore e d'odio e d'altre sciocchezze. Sopra tutto regnava però la voce particolare e sempre leggermente sforzata della compagna Beppa che, come se niente fosse, con fare ammiccante e un poco civettuolo, rispondeva come da contratto mai sottoscritto colpo su colpo alle avance ora di questo e ora di quell'altro sbarbino. Il padrone grassone dall'aria un po' maialesca, nel frattempo, mentre metteva i quattrini in saccoccia senza battere neanche uno scontrino e con un occhio salutava da dietro la cassa i clienti che entravano e uscivano dal locale, con quell'altro sbirciava il quadrante in purissimo Gorilla Glass di un cellulare High tech. Questa situazione di stallo andò avanti fin quasi alle due del mattino, cioè fino a quando il locale non si fu completamente svuotato, i vassoi in titanio contornati dai led alimentati a falcata non furono tutti accuratamente riposti e le belle cameriere sculettanti, stracche e stravolte dalla fatica come delle piccole schiave, non iniziarono a zampettare qua e là sopra i loro tacchi a spillo per ripulire i tavolini della veranda con vista sul mare. Con gli occhi arrossati dalle tante ore passate davanti al monitor i compagni della Filcams videro poi il padrone con l'aria maialesca alzarsi da dietro il ricevitore di cassa, attraversare la sala dove le sue dipendenti erano tutte impegnate nelle opere di pulizia e svelto, con in mano il suo controllo remoto, sbirciare furbescamente il culo formoso della compagna Beppa per andarsi infine a rinchiudere nella toilette in fondo alla stanza. Dai cento trentacinque mini speaker incassati nel contro soffitto del bunker e dal monitor 4K, adesso fuoriuscivano una sottile e piacevole musica Dub accompagnata dal volto sfiancato della compagna Beppa e dalla sua voce che, anziché risuonare con quel suo tuono sempre un po' piacevolmente sforzato, adesso, nelle orecchie dei tre sindacalisti, riecheggiava molto più profonda e baritonale.
Si si, dev'essere proprio la stanchezza, si dissero perplessi gli uni con gli altri i componenti della segreteria della Filcams di Stalinlucca. Poi con un filo di voce il compagno segretario ordinò di commutare sulla microcameraspia rest three, e l'indice della mano sinistra del compagno informativo sfiorò nuovamente il pannello touch screen oleografato sopra il tavolo di cristallo. Subito apparvero le immagini di un bagno color crema modello extra lusso in stile romano, con i capitelli di marmo e due busti di Caligola e Nerone posti ai lati di un'enorme specchiera che occupava l'intera parete dei lavandini. Il tutto, sotto una luce opaca e perfettamente studiata per far risaltare al massimo il colore dei rivestimenti, era rifinito da fiori e brocche di finissima terracotta. Senza badare a spese il padrone del locale aveva fatto costruire anche una cascata ottenuta dall'acqua di mare che alimentava una grossa vasca a idromassaggio in stile Bernini la quale, scendendo direttamente dal soffitto e rilasciando nell'aria un suono dal retrogusto un po' esotico, adesso riecheggiava mellifluamente come una ninna nanna dentro i cento trentacinque minispeaker del bunker. Poco distante da tale meraviglia architettonica, come un pugno in un occhio, come un cavolo a merenda, come un sintetizzatore elettronico di ultima generazione in un vecchio pezzo dei Rolling Stones, gli sguardi dei componenti della segreteria della Filcams furono colpiti dall'immagine del maiale con le braghe calate che stava seduto sopra la tazza di un cesso che rassomigliava niente di meno che all'astronave di Goldrake. Aveva delle cosce grandi come prosciutti di terza categoria allargate sopra le lame rotanti e dal tronco, flosce e disfatte, gli ricadevano giù fino a ricoprirgli i ginocchi delle grottesche, nauseabonde e sudaticcie lonze di grasso. Sotto gli occhi esterrefatti e schifati dei tre amigos sindacalisti, mentre con una mano teneva stretto il suo controllo remoto che trasmetteva le immagini di una telecamera modello CIA puntata sul culo rotondo della compagna Beppa, con l'altra, dopo aver raspato per qualche minuto in mezzo a tutto quel mare di lardo, il maialesco datore di lavoro tirò fuori da quel l'informe e bizzarro ammasso di ciccia un piccolo membro arricciato come un sottile aspirale. E Subito, impaziente e incominciando a grugnire, prese a tirarselo su e giù come una piccola sega.
-Che schifo!- esclamarono all'unisono i sindacalisti, dovendo assistere loro malgrado a quel turpe spettacolo. Anche i vitrei sguardi appesi alla parete del bunker dei compagni Del Turco ed Epifani, riunitisi in assemblea super straordinaria assieme a quello sornione e sbirciante della compagna Camusso, deliberarono all'unanimità di opporsi allo show, scioperare e voltarsi dall'altra parte.
-Passa subito a rest two- ordinò infatti il compagno segretario al compagno informativo, portandosi di scatto le palme delle mani sugli occhi. All'interno della veranda con vista sul mare, intanto, con sempre la musica Dub in sottofondo, tra i tavoli ancora mezzi arruffati, la compagna Beppa aveva riunite al centro della stanza le altre colleghe. Con le unghie lunghe, curate e perfettamente smaltate di un rosso granata che contrastando a dovere con il colore della carnagione creola sapeva quasi d'erotico, stringeva fiera e forte nella mano la sua nuova tessera della Filcams rilasciategli dal compagno dell'ufficio vertenze in persona.
-Adesso gli faccio la vertenza- diceva con tono di voce stranamente profondo alle altre cameriere, la Giuseppina. Tutte le ragazze, chi bruna e chi bionda e chi rossa, avevano le stesse tette straripanti così, il solito culo dirompente, i medesimi abiti indecenti e l'uguale faccia stravolta da una comune indignata stanchezza. Tutte belle e sfigurate alla stessa maniera. Ma c'era di più: il volto sempre perfettamente curato della compagna Beppa, forse proprio per una rabbia repressa e che adesso poteva finalmente trovare uno sfogo, assumendo un'espressione di mascolinità si era tutto irrigidito diventando pieno di spigoli. Pareva quasi avesse tolto una maschera. Anche il collo solitamente liscio, sinuoso e lungo come una raffinatissima brocca da vino, le s'era di colpo deformato e gonfiato divenendo molto simile a un nodoso ciocco di pino. Poi subito dopo, senza stare nemmeno ad ascoltare i discorsi in italiano stentato fatti delle altre ragazze, la compagna Beppa, una volta deglutito e fatto muovere il mento in maniera anormale, cominciò a marciare sopra i sui tacchi a spillo con passo marziale, quasi da corazziere, in direzione del bagno. TIC...TAC...TIC...TAC
-Ci siamo!- esclamò il compagno segretario con gli occhi puntati sul monitor a Led 84 pollici 4K. -Adesso entra nel bagno, scatta la foto al maiale con la microcameraspia rest ome e così abbiamo le prove che quelle cazzo di telecamere modello CIA che in maniera illegale spiano i dipendenti durante il turno di lavoro, sono pure collegate a un sistema remoto-.
-Passo a rest three?- chiese tutto infervorato il compagno informativo.
Si, annuirono all'unisono il compagno segretario e il compagno dell'ufficio vertenze. Ma proprio mentre la compagna Beppa stava per aprire la porta del bagno imperiale in stile Romano, accadde quello che mai e poi mai sarebbe dovuto accadere: per un calo di tensione improvviso, o per un'intromissione dei servizi segreti del SISMI all'interno dei computer della Camera del lavoro di Stalinlucca, oppure per un'altra inspiegabile fatalità di sconosciuta natura, il pannellino touch screen oleografato sul tavolo in cristallo delle riunioni fece cilecca.
-Maledizione!!- esclamò stavolta il compagno dell'ufficio vertenze. Si susseguirono così alcuni profondi istanti di desolante silenzio. Dai microspeaker non fuoriuscivano altro che le note di una vecchia canzone di Bill Laswell e qualche incomprensibile parola in stretto rumeno pronunciate da un paio di cameriere. Poi, tutto a un tratto, fulmineo come un tuono che irrompe squarciando l'aria, SHWAAAM!!, il suono sibilante di uno spadone appena sguainato seguito da un secco, atroce e orrendo grugnito di terrore, si levò improvviso e senza mezzi termini da dietro la porta del bagno. Sembrava che la compagna Beppa avesse sguainato qualcosa! Il cinguettio dei passeri di tutto il mondo si chetò di botto, Bill Laswell smise di colpo di cantare e le cameriere -che già forse avevan capito-, si misero a ridere in maniera scomposta: il maiale stava per essere accontentato e incannato. E che canna! Un arnese a metà strada tra una Beretta Rocco Siffredi e un Winchester modello Jhon Holmes. Poi, dai cento trentacinque minispeaker incassati dentro il contro soffitto rivestito di pelle bianca della Camera del Lavoro di Stalinlucca, fuoriuscirono dei suoni incomprensibili sicuramente dovuti a una breve ma agguerrita colluttazione, seguiti subito dopo da un soffice, delicato, ritmato, inconfondibile e martellante: TUMP...TUMP...TUMP...TUMP...TUMP...
Gli infernali grugniti maialeschi, colpo su colpo, andarono pian piano a chetarsi fino a divenire un ambiguo e inspiegabile miagolio
-Che cosa sta succedendo la dentro?- disse stupito il compagno segretario.
Tump...tump..un..po'..tump..tump..per...uno..a..tump..tump..prenderlo..tump..tump..in...culo....tump..tump...diceva intanto che martellava, la compagna Beppa. E di seguito, con una voce,profonda,divertita,godereccia:...brutto..maiale...tump..tump..sei..sotto...tump..vertenzaaaa...tumptumptumptump...sind..ahh..ahhhh...tumptumptumptump..sindacale..ah..ah..ahhhhhhhhhh....................
Poi di nuovo silenzio.
-Ma che cosa è successo là dentro?- chiese ancora stupito il compagno segretario, avvicinando il viso alle immagini trasmesse dalla microcamera spia rest two.
-Come che cosa è successo?-gli rispose il compagno dell'ufficio vertenze. - La compagna Beppa gli ha appena fatto la fotografia, almeno adesso possiamo inchiodare ben bene quel porco,  fargli una bella vertenza e un culo così-.
-A quello mi sa che ci abbia già pensato la Giuseppina- ghignò a ruota il compagno informativo, indicando le immagini trasmesse dal monitor. Il gestore del locale tutto dolorante e arruffato, con le gambe allargate e leggermente piegato sulle ginocchia, stava infatti uscendo in tutta fretta dalla porta del bagno per fuggire chissà dove. Dopo un po' di minuti, con tutta la sua femminilità ritrovata e la sua andatura da femmina creola mozza fiato, la compagna Beppa uscì anch'ella dal bagno imperiale in stile romano e sculettando verso il centro della veranda con vista sul mare, con quel suo tono di voce di nuovo piacevolmente sforzato, disse: -operazione Grande Fratello...No grazie..conclusa!-.
Pfuff...fine delle trasmissioni.
-Bene adesso dobbiamo festeggiare- sorrise felice il compagno segretario, rilassandosi sulla sua sedia di plastica polvirex di colr bianco panna e sbattendo due volte le mani. Dal suo buco in fondo alla parete uscì nuovamente il robot Silvio. Al posto della scopa e della pattumiera stavolta portava in mano un vassoio d'argento con sopra tre calici da champagne modello Svalka e una bottiglia fredda e sudata di Cristal antica riserva etichetta bianca. Con passo robotico s'avvicinò al grande tavolo in cristallo delle riunioni e dopo aver fatto saltare il tappo con una mossa di karate, disse: BU-O-NA-FILCAMS-A-TUT-TI.

by Nick Belanes.

giovedì 9 maggio 2013

PAUSA CAFFE'






PERSONAGGI:
Paolo.
Vito.
Emiliano detto Zapata.
AMBIENTAZIONE:
Cantiere navale. Macchina del caffè, tra la porta dei cessi da dove
esce un nauseabondo odore di urina e la prua del motoscafo Gheopard
30 MT Sport. Sul lato destro della macchinetta c’è un bidone
di plastica con dentro un sacco nero pieno di bicchierini di carta
mentre davanti, accuratamente sistemati sopra uno scaffale di
ferro, si trovano i grossi fogli di compensato da 15 mm pronti per
esser tagliati. Da dentro la barca fuoriesce un assordante rumore di
pialle elettriche, gattucci e ogni altra sorta di utensile atto a tagliare
il legno o la resina. Nell’aria galleggia una coltre di pulviscolo
marrone talmente leggero e sottile che pare quasi un delicato banco
di nebbia.
VITO: scusi, buongiorno, stavo cercando il signor Paolo della “RS
Resinature Navali”.
EMILIANO: mettiti pure a sedere lì tranquillo (indica i grandi fogli
di compensato di fronte alla macchinetta del caffè) perché il signor
conte Paolo prima delle nove non è mai sul posto di lavoro.
EMILIANO (mentre si mette la mano in tasca in cerca della chiavetta
di plastica verde da mettere dentro la macchinetta): lo prendi
il caffè?
VITO: sì grazie.
EMILIANO: sei anche te di Palermo? Qui dentro ormai siete quasi
tutti siciliani.
Vito annuisce col capo, in silenzio. Dopo alcuni istanti Emiliano
prende l’espresso da sotto il coperchio di plastica trasparente della
macchinetta, glielo passa e preme un’altra volta il tasto del caffè.
EMILIANO: digli al tuo datore di lavoro che quel pezzettino di carta
lì che tieni in mano, può pure infilarselo nel buco del culo. Per
resinare ci vogliono quelle buone, coi cartoncini intercambiabili e
tutto il resto. (Intanto che con la sinistra preleva il suo caffè, col dito
indice della destra indica la mascherina tenuta in mano da Vito).
VITO: Cosa vuol dire tutto il resto?
EMILIANO: sì tutto il resto, una trentina d’euro per andarla a comprare.
VITO: minchia!
EMILIANO: minchia un paio di palle! Con quell’affare di cartone
che ti hanno rifilato, se continuerai a fare questo lavoro, tra una
ventina d’anni ti sveglierai una mattina con un po’ di tosse, andrai
dal medico a farti vedere, e dopo qualche giorno... ualà, la sorpresa:
anche se non hai mai fumato un cazzo di sigaretta in tutta la tua vita,
ti ritrovi un tumore ai polmoni grosso così.
Emiliano detto Zapata inizia a bere il suo caffè e si va a sedere accanto
a Vito sulle tavole di compensato.
EMILIANO: cosa facevi a Palermo?
VITO: il contadino nel piccolo aranceto di mio padre. Adesso non
c’è più lavoro perché quasi tutte le arance le importano dalla Spagn...
EMILIANO (senza neanche fargli finire la frase): il contadino nel
piccolo aranceto di tuo padre!? E tu hai lasciato la tua terra, il profumo
del mare pulito e delle arance e magari anche una ragazza, per
farti mille chilometri e venirti a massacrare per poco più di niente
in un posto come questo? Lo sai, tanto per dirtene una, cosa hanno
iniziato a fare alcune ditte che lavorano in questo splendido cantiere
navale?
VITO (facendo un secco e impercettibile gesto col capo): tsu...
EMILIANO: Siccome dicono che c’è poco lavoro, allora, anziché
pagarti le otto ore al giorno come da contratto e come effettivamente
lavori, te ne pagano soltanto sette e te ne aggiungono una di ferie per
far quadrare i conti sulla busta paga. E invece, quando bisogna consegnare
la barca, facendo finta di piangere per la carenza di lavoro,
allora ti fanno sgobbare anche dodici ore al giorno e te ne retribuiscono
solamente otto.
VITO: minchia!
EMILIANO: e se credi che sia finita qui, ti sbagli di grosso.
VITO: perché?
EMILIANO (con un amaro sorriso scolpito sulle labbra si alza,
prende il bicchiere vuoto dalle mani di Vito e lo getta assieme al suo
dentro il cestino dei rifiuti. Poi torna a sedere): vedi, io sono quello
che in gergo non troppo tecnico viene definito un fannullone, cioè,
un essere umano che si fa le sue otto ore senza rompere i coglioni a
nessuno e che, quando suona la sirena di fine turno ed iniziano gli
straordinari, chiude la cassetta dei ferri e corre a farsi i fattacci suoi.
Se tutti facessero così, anziché comportarsi come il tuo Paolo che
viene sempre a lavorare con quasi due ore di ritardo, le cose secondo
me andrebbero decisamente meglio.
VITO: e lo pagano pure?
EMILIANO: certo che lo pagano, come no?! E non timbra nemmeno
il cartellino, come invece fanno tutti gli altri operai: segna sopra
un pezzo di carta che ha fatto dodici ore, il vostro datore di lavoro si
rumina in tasca ogni venerdì e gli paga al nero tutti gli straordinari
che poi praticamente non fa e delega agli altri. E naturalmente, alla
fine del gioco, se il lavoro è venuto bene e la barca è stata consegnata
nei tempi prestabiliti, tutto il merito è di Paolo; altrimenti, se
le cose vanno male o c’è qualche intoppo lungo la lavorazione, la
merda è tutta di Mocombo, il tuo collega di lavoro.
VITO (ghignando): la dura vita dei responsabili.
EMILIANO (annuendo col capo): la dura vita di chi è buono a leccare
dei culi. (Pausa). Pensa che il vostro principale non si vede
mai e da un punto di vista lavorativo ha cresciuto Paolo a propria
immagine e somiglianza.
EMILIANO (dopo essersi alzato e stirato la schiena): sono le nove
passate e adesso devo tornare a bordo... ah! A proposito (gli tende
la mano sorridendo) io sono Emiliano, ma qui dentro tutti mi chiamano
Zapata.
VITO: io sono Vito (risponde alla stretta di mano anch’egli col sorriso
sulle labbra).
Emiliano detto Zapata esce di scena incrociando Paolo non ancora
vestito con gli abiti da lavoro. I due si guardano per un attimo in
cagnesco. Paolo è di passo veloce, ha i capelli impomatati, indossa
vestiti sportivi e tiene in mano le chiavi della sua motocicletta. Si
mette davanti a Vito che è ancora seduto sulle tavole di compensato
davanti alla macchinetta del caffè.
PAOLO: (con cipiglio austero, da padrone): Vito Renda?
VITO (alzandosi di scatto come una molla): sì.
PAOLO: sono le nove passate e sei ancora alla macchinetta del caffè!?
In fondo al mese il nostro titolare ci paga per essere sul posto di
lavoro alle sette e mezza precise! Capito?
VITO (abbassando lo sguardo, con timidezza): sì...
PAOLO (mantenendo il cipiglio austero ma ammorbidendo leggermente
il tono di voce): stavolta passa perché è il tuo primo giorno
di lavoro, ma bada bene che non si ripeta mai più. La pausa caffè è
dalle otto e quarantacinque alle otto e cinquantacinque. Chiaro?
Vito annuisce col capo, in silenzio e con ancora lo sguardo basso.
PAOLO (tronfio e impettito): allora Vito, stamani devi dare una mano
a quel cretino di Mocombo. Vai a bordo di questa barca, la commessa
30\07 (alza lo sguardo e indica la grossa prua quasi sopra le loro
teste), scendi in sala macchine e lo aiuti a resinare i basamenti dei
motori. Almeno inizi a prendere confidenza con gli attrezzi.
VITO (riacquistando un po’ di forza nel tono di voce): ma non vieni
anche tu a farmi vedere quello che devo fare?.
PAOLO: no! Ci pensa Mocombo! Io dovrei farcela a tornare per
oggi pomeriggio.
VITO: ma chi è Mocombo?
PAOLO: appena sali a bordo lo riconosci subito. Oltre a puzzare come un maiale ammarcito è l’unico negro che lavora in sala macchine.
VITO: ok. Allora io vado, ci vediamo dopo.
PAOLO (con indifferenza e sovrappensiero): sì... sì... ciao...
Vito si gira e con in mano la sua mascherina di cartone tenuta per
l’elastico, incomincia a incamminarsi verso la scala per salire a
bordo alla barca.
PAOLO: oh! (fischio) oh! (fischio) oh! come cazzo ti chiami PALERMO!
Vito, che aveva già percorso una quindicina di metri, si ferma e
capisce che il responsabile lo sta chiamando. Poi si volta nella sua
direzione.
PAOLO: prendi il cellulare che ti lascio il mio numero di telefono.
Vito si toglie il telefono di tasca e dopo aver pigiato qualche pulsante,
lo segna nella rubrica.
PAOLO (mostrando due dita della mano): uno, se per caso capitasse
il principale gli devi dire che sono appena uscito per andare a prendere
del materiale al magazzino. Poi subito dopo mi telefoni. Due,
se vuoi un consiglio da amico non parlare più con quello Zapata.
Quello è un fannullone e sicuramente qui dentro sarà il prossimo ad
essere licenziato.
Pausa.
VITO (col sorriso sulle labbra): ma chi era questo Zapata?
PAOLO (quasi stupito): come non sai nemmeno chi era Fernando
Zapata!? Allora sei proprio duro! Fernando Zapata era un tale che
nel 1700 uccise e mangiò due bambini appena nati giù in Messico,
a Las Plata per l’esattezza.
VITO (ancora sorridente): va bene capo. Allora ci vediamo oggi.
PAOLO: ciao.
Vito si volta nuovamente verso la scala e riprende a camminare.
Paolo, invece, si guarda attorno con aria furbesca e poi schizza al
di fuori della porta d’ingresso del cantiere navale.

mercoledì 1 maggio 2013

La violenza e lo Stato (un abbozzo alquanto parziale)


L'attentato di palazzo Chigi, avvenuto nel corso del giuramento del Governo Letta, ha riproposto vecchie argomentazioni e posizioni ormai scontate, politically correct, sul concetto di violenza. Argomentazioni su cui pesano ancora gli anni di piombo, la strategia della tensione – di tanto in tanto rispolverata da destra e da sinistra – le nuove BR ecc. Comunque tutti concordi nel ripudiarla, nello spingerla giù nello sprofondo dell'inconscio collettivo, affinché si ripresenti solo come sintomo.
Certo, massima deve essere la solidarietà verso i carabinieri feriti domenica scorsa e anche verso quella ragazza di 23 anni che vede suo padre lottare con un destino, in ogni caso, foriero di difficoltà. La violenza fine a sé stessa è sempre da condannarsi senza remore, senza riserve, senza pietà.
Tuttavia, chi sostiene che la violenza tout court sia senz'altro da ripudiare o fa parte dell'establishment o, democratico e pacifista radicale, preferisce chiudere gli occhi di fronte ad un fatto: la violenza non è un disvalore, è uno strumento. Nel primo caso, nel caso di chi appartiene alla classe dirigente, si mette in atto uno schema difensivo, non per condannare la violenza a 360 gradi, ma per salvaguardare il monopolio dell'uso della forza da parte del potere statuale; e ciò è senza dubbio sensato. Il concetto stesso di Stato, nel senso più rigoroso del termine, rivendica per sé il monopolio della forza e della coercizione. É questo monopolio stesso che lo salvaguarda dalle pulsioni disgregatrici che ogni Stato, come centro di potere, cova in seno. Ma c'è un “ma”; c'è sempre un “ma”.
Se lo Stato è virtuoso, se si mantiene nei limiti di un uso virtuoso della coercizione – e qui, naturalmente, apriremmo una voragine, se solo volessimo definire tale virtù nel suo diritto – saprà allora assolvere a dovere il proprio compito. Tuttavia, se solo ci chiediamo quale sia quel limite, quel confine, ecco che è l'intero concetto di Stato ad essere posto in dubbio. Fin dove può spingersi lo Stato nell'esercizio di questa sua prerogativa? E perché? E quando, tale prerogativa, cessa di essere istituzionale?
Ora, è piuttosto evidente che un limite di tal fatta non è tracciabile con precisione, in primo luogo perché, a parità di condizioni, è il sistema valoriale di riferimento – il comune buon senso – che ne influenza la collocazione, in secondo luogo perché, variando con il variare del contesto, quel confine è costitutivamente provvisorio. Insomma, anche se, perché una comunità complessa come uno Stato possa esistere, è necessario che detenga il monopolio della forza – compresa la possibilità di delegarla ad altre mani – quel monopolio, e il limite entro cui esercitarlo, è arbitrario, è discrezionale. Ma, se così stanno le cose, è del tutto legittimo porci un'ulteriore domanda, soprattutto se si tratta di uno stato democratico: fino a qual punto è necessario tollerare quell'utilizzo esclusivistico ma discrezionale della violenza? Quando quell'utilizzo diventa intollerabile? Ma soprattutto, e in tal caso, come possiamo – o dobbiamo, in qualità di cittadini – rispondere?
Credo sia ormai ovvio dov'è che voglio arrivare. Il punto è che l'esercizio della violenza – repressione, coercizione, custodia cautelare, attentato dinamitardo ecc. – chiunque sia ad esercitarla, stato, criminalità, agenzie di vigilanza privata, è sempre arbitrario e deliberato: premeditato.
Ciò che si insegna, per prima cosa, al neofita del pugilato è la guardia, vale a dire si perfeziona la risposta istintiva, naturale, che chiunque oppone ad una aggressione. Il contrattacco è sempre successivo, è il frutto di una libera scelta fra restituire l'offesa e fuggire. L'esercizio della violenza, quindi, non è mai qualcosa di meccanico, di automatico, ma è sempre il frutto di una scelta deliberata ed in quanto tale potenzialmente errata: eccessiva o inutile.
Lo Stato, anche il più liberale e democratico, facendosi carico del monopolio della violenza, si fa carico al contempo della possibilità dell'errore che, in quanto tale, potrebbe mettere a repentaglio la funzione stessa della violenza istituzionalizzata che, invece di salvaguardare l'unità di quella comunità complessa, la disgrega. Da qui la liceità, per chi ne subisce le conseguenze, di valutare la possibile risposta che, in quanto opposta e contraria alla funzione disgregatrice della prima, si fa Stato essa stessa.
Stando proprio a quanto siamo venuti dicendo, la violenza è sempre una scelta, un deliberato. Quando è giusto ricorrervi? Abbiamo dato per scontato che, entro certi limiti, tanto indeterminati da essere solo di principio, è giusto che lo Stato vi ricorra, come funzione difensiva, ma deliberata, della comunità che rappresenta. Ma quando questo ricorso da parte dello Stato diventa in qualche modo lesivo della comunità che lo costituisce, allora è abbastanza naturale pensare che una risposta analoga – da parte della comunità stessa? di un gruppo specifico originato al suo interno? ecc. – sia giusta se salvaguarda l'unità di quella comunità, rifondando lo Stato. É anche in questo senso, io credo, che possa essere intesa la famosa locuzione marxiana, contenuta nel libro I de Il capitale, “La violenza è la levatrice di ogni vecchia società, gravida di una società nuova”.
L'equivoco pacifista, che vede nella “non violenza” oltranzista un valore universale e necessario, nasce da un malinteso circa il concetto di democrazia. Sono in molti ad ergerla a valore in sé, ma essa, nella misura in cui trova applicazione pratica, è solo uno strumento. C'è un'enorme distanza fra il concetto e l'ipostasi, tale per cui il concetto non trova mai la sua piena incarnazione. É per questo che molti vedono nelle istituzioni democratiche poco più d'un feticcio o di uno strumento che, in quanto tale, ha una sua utilità rispetto ad un fine ma non è un valore universale. All'idealizzazione della democrazia, a partire dalla formula di Pericle, del Discorso agli ateniesi 461 a. c., 

"Il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi... Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace... Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia",

bisogna opporre la sua realtà, una realtà - ci suggerisce J. A. Schumpeter - che “non è assolut[a] e rigoros[a]” e che “ammette deviazioni”. Infatti, 

"Se per [libertà individuale] si intende l'esistenza di una sfera di autogoverno individuale i cui confini sono storicamente variabili – nessuna società tollera una libertà assoluta nemmeno di coscienza e di parola, nessuna società annulla questa sfera – è chiaro che tutto diventa questione di gradi... il metodo democratico non garantisce necessariamente una libertà individuale maggiore di quella che un altro metodo politico consentirebbe in circostanze simili" (J. A. Schumpeter, Capitalismo, socialismo e democrazia).

Detto questo, il metodo dialogico, mai violento, come unico metodo di risoluzione dei contrasti, dato un regime democratico, si rivela una pia illusione e l'opzione violenta può divenire, anche in un paese che si riconosce nei principi democratici, un'opzione non soltanto praticabile ma addirittura necessaria.
L'assunto del pacifismo oltranzista si riduce quindi, nella pratica, al principio secondo cui è preferibile adire a vie pacifiste, nella risoluzione dei conflitti, quando ciò sia possibile. Quando ciò non è possibile, la via violenta può divenire l'unica opzione praticabile, ad esempio per rovesciare un governo dispotico oppure per rovesciare un governo formalmente democratico ma che non contribuisce al bene collettivo, ma soltanto di alcuni gruppi specifici.
Circa la domanda, invece, “quando – nello specifico – e a chi e lecito adire a vie violente?”, quando, cioè, si passa da un piano puramente teorico e di principio, a quello della messa in pratica dell'opzione violenta, ebbene, le problematiche che si impongono sono di natura tale da non essere assolutamente risolvibili se non sul piano storico. Chiunque si opponga con la forza all'ordine costituito – e qui non ha alcuna importanza la natura di quell'ordine – è percepito e fatto percepire come un pericolo per la comunità, per la società, per lo Stato. Un pericolo di cui è necessario sbarazzarsi con la sua messa al bando o con la soppressione. In un primo momento, quindi, quale che sia la natura del gruppo o dell'individuo che agisce per vie violente, lo Stato li oblitererà come criminali e, in quanto tali, antisociali. Questo comportamento è del tutto coerente con la linea di difesa dello Stato che passa per il monopolio della violenza. Chi si oppone all'ordine costituito costituisce un pericolo effettivo all'integrità dell'ordine sociale, chi vi si oppone violentemente, passando cioè alle vie di fatto, deve necessariamente essere represso, anche quando il gruppo o l'individuo in questione appartengono agli organi istituzionali dello Stato. Questa è la chiave. Chi allora, avrà al contempo il diritto ed il dovere di farsi carico dell'esercizio della violenza, esercizio che mira a diventare esclusivo facendosi stato e facendosi carico di una scelta deliberata che, in quanto tale, si scopre fallibile? 
E chi, soprattutto, è chiamato a farsi giudice della liceità di quella pretesa? La Storia. Sarà la Storia, la storia dei successi e dei fallimenti cosparsi sulla via dell'esercizio della violenza, sentiero che la percorre per tutta la sua estensione, che ne sancisce le svolte e che giustifica la mitopoiesi storiografica. Lì sta il sottile discrimine che farà di un uomo un volgare criminale o il Padre fondatore dello Stato.

Di Andrew Dok

domenica 28 aprile 2013

La giusta prospettiva su ciò che è facile e ciò che è difficile


É un paradosso, ma lottare per i propri diritti, per quanto sacrosanto, per quanto giusto, è cosa ardua. É maledettamente difficile doversi confrontare, ogni mattina, ogni giorno, con lo sguardo inquisitorio e ingiusto dei capi e dei padroni. Ed è maledettamente più facile e rassicurante fuggire quegli sguardi, rinunciando alla lotta, ma è anche del tutto inutile. Fuggire dalla lotta comporta soltanto l'accettazione passiva dell'ingiustizia e la consapevolezza della propria personale sconfitta. Di più, significa decretare la sconfitta anche di chi ti è caro: di un figlio, di un amico e di chiunque condivida con te la tua stessa sorte. Significa accettare ogni sorta di piccola e grande angheria, che sia un licenziamento oppure il semplice rimbrotto che condanna una tua non colpa. É inutile, perché sopportare tutto questo comporta la creazione di tutta una complessa struttura di giustificazioni, e scuse puerili, che rendano sopportabile la tua fuga, la tua codardia. Ma se ancora riesci a sopportare il peso della tua ipocrisia, che ne sarà di te quando tuo figlio dovrà reggerne il peso? Come giustificherai, allora, il tuo chinar la testa? Domani, quando di prima mattina ti guarderai allo specchio, quando le tue tante scuse saranno ancora sopite, prova a reggere il tuo stesso sguardo; di una cosa sono certo, non ci riuscirai, così come un domani sarai incapace di sostenere quello di tuo figlio. Allora, forse, capirai, ma sarà troppo tardi.
E' vero, non è facile affrontare ogni giorno, quotidianamente, chi ha la pretesa di ergersi al di sopra di te, senza diritto, magari solo perché, genuflettendosi a profusione, è riuscito a strappare una promozione. Ma è sempre e maledettamente più difficile dover sopportare la propria ipocrisia. Perché chi sceglie di non combattere, di fuggire, lo fa consapevolmente e consapevolmente sa di scegliere la via dei non-uomini. L'uomo si differenzia da ogni altro animale non solo per l'intelletto ma, soprattutto, per la volontà. A differenza di tutti gli altri animali, l'uomo ha sempre un'alternativa: l'intelletto la concepisce, la volontà la concretizza. Non ci sono alibi, ma solo la triste e patetica presa di coscienza della propria sconfitta.
Perché si parla di cacasotto? E' un riflesso istintivo comune a tutti quegli animali che hanno, come sola strategia per la sopravvivenza, la fuga. L'animale che si prepara a scappare svuota l'intestino, si alleggerisce, è costretto a farsela addosso. Una vita secondo natura per il coniglio, una vita poco dignitosa per l'uomo. Credo che la via più semplice e naturale, per un uomo, sia affrontare a viso aperto le difficoltà della vita, piuttosto che vivere un'intera esistenza con le mutande sporche di merda.

di Andrew Dok

lunedì 8 aprile 2013

REZA OLIA: L'ARTE COME FORMA DI LOTTA



A voci dalla Piazza Reza Olia, scultore, pittore e membro del C.N.R.I (Comitato Nazionale di Resistenza Iraniana) ci parla d'Italia, cultura e ayatollah. Buona lettura!



  1. Ciao Reza, per chi non ti conosce, puoi dirci chi sei e di cosa ti occupi nella vita?

    Sono lo Scultore Reza Olia, cittadino italiano di origine iraniana. Da oltre cinquant’anni vivo in Italia. Mi sono diplomato all’Accademia di Belle Arti di Roma in scultura e pittura. Politicamente sono impegnato per l’affermazione della libertà e della democrazia nel mio Paese di origine.

  2. Considerata la società in cui viviamo e tenuto conto delle nuove tecnologie che questa mette a disposizione, secondo te, un'artista che della sua arte vuol farne il proprio mestiere, oggi è più o meno agevolato rispetto al passato?

    Sì, oggi la società è più aperta ed evoluta, nonché istruita. Il rapporto delle persone con la tecnologia (es. internet) è molto stretto e ciò permette una più agevole ed immediata diffusione delle idee e dei propri lavori. D’altro canto, però, non nascondo che nel passato la sensibilità culturale ed artistica in tutti i campi dell’arte forse era più accentuata di oggi. Oggigiorno le idee viaggiano velocemente ed altrettanto velocemente spariscono e ciò mette in evidenza la superficialità di molte idee o proposte artistiche, dato che c’è sempre meno spazio per l’approfondimento culturale ed artistico.

  3. Da Renato Guttuso a Giacomo Manzù ad Alberto Moravia nel corso della tua lunga carriera hai collaborato con moltissimi artisti che nel corso degli anni sono divenuti dei veri e propri monumenti della cultura italiana (e non solo). Vista la tua vasta esperienza, l'Italia è ancora il posto adatto per un ragazzo appena uscito dall'accademia e che vuole iniziare a muovere i primi passi nel mondo dell'arte? Oppure deve emigrare?

    In effetti, data la mia lunga permanenza in Italia, mi ritengo fortunato ad aver frequentato i grandi maestri dell’arte italiana, quali Renato Guttuso e Giacomo Manzù, Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini. Le opere ed il pensiero di questi grandi maestri, che hanno dato un fondamentale contributo per la crescita culturale italiana dopo il fascismo, sono ancora oggi attuali. A mio avviso, tuttavia, per un giovane artista è difficile poter affermarsi in Italia, in quanto la società italiana mi pare diventata superficiale, senza più una forte sensibilità culturale come un tempo. Non credo che in altri Paesi europei la situazione sia migliore, in quanto in molti di questi Paesi la tensione culturale è di gran lunga inferiore rispetto a quella italiana.

  4. In generale, chi oggi acquista un dipinto o una scultura lo fa per riempirsi l'anima o per fare un piccolo o grosso investimento?

    Chi oggi acquista un’opera da una galleria d’arte o direttamente da un artista dimostra sicuramente passione per l’arte. Chi, invece, acquista un’opera, anche importante, presso un’asta a Londra o New York, probabilmente, lo fa per realizzare un investimento.

  5. Nelle tue opere è sempre ben presente il martirio di un popolo: quello iraniano. Per chi non avesse letto il tuo libro e non sapesse molto degli accadimenti avvenuti ai figli dell'Iran, puoi spiegare in poche parole chi erano e chi sono Reza Pahlavi, Ruhollah Khomeini, Mahmud Ahmadinejad?

    Mi ritengo un artista “impegnato”, così come lo era Guttuso. Attraverso la mia arte intendo denunciare gli orrori che i regimi dittatoriali, prima quello dello Scià e poi quello degli ayatollah, hanno compiuto e compiono ancora nei confronti del mio popolo. Costoro sono solo criminali efferati di “turno”, che godono della protezione occidentale in cambio di petrolio ed armi di ogni genere.

  6. Ormai da molti anni sei un membro di spicco del C.N.R.I (Comitato, Nazionale, di Resistenza, Iraniana) e sei costretto a vivere sotto scorta da parte dei Carabinieri. Per chi non lo sapesse, puoi spiegare cos'è e quali sono gli intenti di questo organismo politico?

    Da moltissimi anni sono membro del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, il quale rappresenta l’unica vera alternativa democratica al regime sanguinario degli ayatollah. Al Consiglio vi partecipano, tra gli altri, anche i Mujahedin del Popolo Iraniano, religiosi laici progressisti e democratici che nulla hanno a che vedere con il fondamentalismo islamico. Vi aderiscono, inoltre, anche altre organizzazioni democratiche, marxiste e molti indipendenti. Per la mia posizione personale ricevo continuamente minacce dal regime di Teheran che mi costringono a vivere continuamente sotto scorta.

  7. Recentemente è scomparsa un'icona della sinistra marxista mondiale come Hugo Chavez. Leggendo il tuo primo libro (il bronzo e l'esilio) ho appreso di come l'ormai ex Partito Comunista Italiano e il Tudeh (il partito comunista iraniano) a loro tempo avessero -eufemisticamente parlando- visto di buon occhio e sostenuto l'ascesa al potere del sanguinario ayatollah Ruhollah Khomeini. Cosa prova un uomo di Sinistra figlio dell'Iran quando accende la televisione e vede le immagini del tanto compianto presidente venezuelano che stringe in maniera molto amichevole le mani al dittatore Mahmud Ahmadinejad? Come mai, secondo il tuo punto di vista, la Sinistra cade sempre in queste assurde contraddizioni?

    Non ho mai amato capipopolo come Chavez o altri come lui e non sono d’accordo con la linea politica del Tudeh. Essi son ben lontani dalle linee politiche a cui a suo tempo si rifacevano i partiti comunisti occidentali. Se i capi del regime iraniano hanno avuto un buon rapporto personale ed affaristico con Chavez, ciò è la conferma che personaggi come lo stesso Chavez non hanno nessun rispetto per i diritti umani più elementari, a prescindere da ogni eventuale area politica di appartenenza.

  8. Sei stato un grande amico di Luciano Lama: la CgiL di Lama, messa in relazione coi lavoratori, in cosa è diversa dalla CgiL di Susanna Camusso?

    Sì, avevo un ottimo rapporto con Luciano Lama, che stimavo come sindacalista e come persona. Lama ha sicuramente difeso i diritti dei lavoratori con fermezza, pur nel rispetto reciproco con le esigenze degli industriali attenti alle tematiche sociali. Oggi sono tempi diversi ed è difficile paragonare la Cgil di oggi con quella di ieri, così come il mondo del lavoro e le sue esigenze sono assai diverse da quelle di un tempo.

  9. Visto che lo hai conosciuto personalmente, quanto manca all'attuale sinistra italiana una figura come Enrico Berlinguer? Perché?

    È difficile rispondere anche a questa domanda; la sinistra di oggi è diversa dal Partito Comunista di un tempo. Ritengo, però, che la linea dell’”onestà” e dei valori di riferimento incarnati da Berlinguer, a mio modesto avviso, si ritrovino oggigiorno all’interno del PD, con tutti i problemi che ciò può comportare in una fase politica difficile come quella che viviamo attualmente.

  10. Sempre leggendo il tuo primo libro, m'è venuto spontaneo farmi una domanda: cosa si prova a trovarsi seduti tra Michail Gorbaciov e Yasser Arafat?

    Beh, se si riferisce alla foto relativa al funerale di Berlinguer, posso dire di essermi ritrovato casualmente a sedere accanto a loro.

  11. Il berlusconismo può a tuo avviso essere considerato una sorta di regime totalitario?

    No, Berlusconi ed i suoi governi, pur con tutte le critiche legittime possibili, non ha mai rappresentato assolutamente un pericolo per la libertà individuale dei cittadini italiani ed è assurdo paragonarlo a regimi totalitari come quello degli ayatollah iraniani.

    intervistato da Nick Belanes.

sabato 6 aprile 2013

INTERVISTA A FEDERICA "GHIGA" SANTORO



Chi sta accanto al mandarino, riceve molti onori. Chi sta vicino alle cucine, riceve cibo”. A voci dalla Piazza Federica "Ghiga" Santoro ci parla di cucina, giardinaggio e sindacato. Buon divertimento!

1)Ciao Ghiga, parlaci un po' di te, cosa fai nella vita?

 Questo è un particolarissimo momento di transizione epocale, quindi mi batto come un samurai per “alleggerire” la vita, per quanto mi sia possibile. Sono alle prese con una strana forma di giardinaggio quotidiano dell'esistenza: taglio, poto, fertilizzo, pianto e getto via le erbacce, aspetto le fioriture ed i frutti. Cerco di non inquinare, di non farlo fare agli altri e di respirare quel poco di aria buona che, forse, ancora abbiamo intorno.

2) Sul tuo profilo di Facebook ho letto una ricetta particolare, un gran bollito. P Puoi riassumerci la ricetta?

Quando si scrivono ricette, non le si riassumono: le si forniscono nei minimi particolari e dosi. Quindi, eccola qui; ricordatevi, però, che per adesso “i cucinati” siamo noi.

GRAN BOLLITO TRADIZIONALE
(Dosi regionali :150 o più politici riciclati, 4 sottosegretari con porCofoglio e un Parlamento qualsiasi ma ben frollato)
Per  coronare un  pranzo elettorale
Si addice presentare un piatto in spuma
Che richiami, per leggerezza, l’ale
D’uccell, passere e tette in gommapiuma.
Recatevi in San Pietro alla novena
E fate d’ostie incetta nelle gote
Che, insieme a del buon succo d’amarena,
verran frullate (a sangue, se si puote).
Con ricotta tessuta a  larghe maglie
Scolpite due politici a Riace
E spargete polistirolo a scaglie
O grattugiato, se così più piace.
Straziate una Sardegna di sei chili
Dietro la porta dello sgabuzzino
E, pria di fare a scaricabarili,
trucidatela a colpi di calzino.
Quando s’immerge il naso nella coca
Non sempre questa viene digerita
Così consiglio di chiamare un’oca
Che fra le cosce protegga la partita
Tostate ostie, Sardegna e del foraggio
E raccogliete l’humus del saor
In un’olla in basalto con formaggio
A destra, a manca ed a tutte l’or.
Terremotate un po’ d’Emilia a caso
Cercando, attenti!, di non darvi arie
E con macerie Aquilane sotto al naso
Mettete sopra al desco le Primarie.
Fate montare l’ira al popolino
Facendovi trovare in barca a remi
Servendo il brodo appena tiepidino
Sopra un taglio di coscia di Noemi.
Spremete intorno e sopra il Municipio,
Un Sindaco, con elisir succosi,
Chè non si sputa nei piatti per principio
O i voti persi saranno, ahimè, onerosi.
Il piatto è pronto ad essere servito.
Spolverizzato con molte odiose tasse,
Portato in piazza a nome di Fiorito
Risulterà delizia per le masse.


3) Secondo te i grandi programmi televisivi di massa come “Amici” e “il grande fratello”, in che maniera hanno inciso sulla cultura e la memoria storica del nostro paese?

Cultura” e “memoria storica”, per me, sono termini che richiamano significati “alti” e “nobili”. Con tutta la buona volontà, non riesco proprio ad associarli ad “Amici” o a “Il Grande Fratello”.

4) La nuova politica proposta da Grillo e dal M5S, a tuo avviso, può o no essere una risorsa per questo Paese?

Sono certa, pur non avendolo votato, che il M5s abbia contribuito a dare quella necessaria accelerazione al processo, sempre predicato e mai attuato, di cambiamento della situazione politico/partitica ormai corrotta e non più proponibile e praticabile. Credo, però, che il M5s abbia contraddizioni e posizioni discutibilissime in molti ambiti, in termini di coerenza e chiarezza, che rischiano di annullare quella spinta positiva che potrebbe, almeno nelle intenzioni dichiarate, perseguire. Esistono “rivoluzioni” che si fanno nelle piazze, mentre, una volta entrati nel gioco politico dei palazzi, le modalità tipiche dei “movimenti” richiedono un cambiamento di strategie e di pratiche. Questo deve essere compreso e rivisto. Ma ciò che più mi infastidisce è il clima di caccia alle streghe e di sterile polemica a cui stiamo assistendo (anche da parte del M5S medesimo), che inquina non poco l'obiettiva analisi del fenomeno “grillino”. Insomma: tutto da vedere e verificare, con obiettività e dati alla mano.

5) Sempre sulle tue informazioni del profilo di Facebook ho visto che parli diverse lingue, tra le quali il cinese e mandarino. Il prodotto interno lordo della Cina, nonostante ultimamente abbia subito un arresto, si aggira attorno al 8%. Considerato il tasso di crescita praticamente nullo di quello italiano, può secondo te il “modello cinese” essere applicato anche all'Italia e risollevare le così le sorti del nostro Paese?

“Chi sta accanto al mandarino, riceve molti onori. Chi sta vicino alle cucine, riceve cibo” (proverbio mandarino che evita di farmi pronunciare in merito alla domanda...)

6) Puoi descriverci in poche parole la tua città (Pistoia) prima e dopo l'avvento della crisi economica?

La mia città è splendida, a guardarla dall'esterno, senza viverci. La mia città la amerei, se non fosse la mia e non la conoscessi nei minimi particolari. La mia città ha provato a vivere, dopo aver dormito per secoli, e sta cercando di restare sveglia; ma ho paura che non ce la farà. Chiude piano piano gli occhi delle sue attività, delle sue piazze, del suo verde meraviglioso, dei suoi progetti. Come ovunque accade. Anche la mia città è tanto malata. Eppure, sarebbe così bella...

7) Secondo te i grandi programmi televisivi di massa come “Amici” e “il grande fratello”, hanno o no inciso in una qualche maniera sul propagarsi della crisi? Se sì, in quale maniera?

Persone inesistenti hanno fatto credere come veri sogni inutili e terribili. “Mai accettare sogni dagli sconosciuti” diceva quel saggio (che non era fra quelli scelti per tutti noi da Napolitano); ma, quando la vita vera pare non darti niente o nessuno ti ha insegnato a capire i valori che contano davvero, il sogno diviene una trappola affascinante a cui abbandonarsi.

8) Secondo le tue esperienze nel campo lavorativo, il sindacato di oggi riesce a rappresentare anche i precari e i disoccupati?

Risposta secca e di pancia (vuota): NO.

9) Pur se con molti problemi e con alcune forti contraddizioni la Cgil negli anni '70 pareva riuscire a rappresentare in maniera adeguata i lavoratori oltre che al tavolo delle contrattazioni anche da un punto di vista culturale. Oggi è sempre così o le cose sono cambiate?

Le cose sono molto cambiate, ovviamente. L'evoluzione dei Sindacati, come del resto quella dei partiti della sinistra storica, non c'è stata; anche se lo scollamento fra la base dei lavoratori e il sindacato è stata forse più lenta e apparentemente meno lacerante, fino a poco tempo fa. Adesso, anche su questa questione, siamo ad una epocale resa dei conti.

10) Secondo le tue esperienze è possibile fare politica attiva sui social network come Facebook?

FB è uno strumento. Semplicemente. E' ovvio e scontato che un social network come FB aiuti nella circolazione delle informazioni e amplifichi le possibilità di confronto, di aggregazione e di dibattito politico; amplifica, però, anche la confusione e il fraintendimento comunicativo. Sono stata attivista del Popolo Viola ed, in seguito, fra i fondatori della Rete Viola, due movimenti nati ed in parte cresciuti su Facebook. Non è stato poco quello che siamo riusciti a fare tramite la rete, ma ancor più importante è ciò che siamo riusciti a fare portando la nostra voce al di là di tastiere e monitor (anche se è stato, ad una analisi a posteriori, un'occasione sprecata per molti motivi). La politica vera richiede soprattutto un contatto non virtuale e una partecipazione fisica diretta. E' necessario guardarci in faccia, ascoltare le voci, sentire le emozioni ed i sentimenti senza mediazioni di alcuna sorta. La politica “attiva” è incontro vero di persone e di luoghi, scambio di vite vissute ed esperienze, di litigi furibondi e di entusiasmi condivisi. Cosa c'è di più bello? 

intervistata da Nick Belanes.